Per gli Emperor questo Prometheus rappresenta il canto del cigno, l’ultimo lavoro prima del definitivo scioglimento del gruppo. E’ un album che deve sopportare continuamente il confronto con i primi lavori della band (universalmente riconosciuti come capolavori del movimento black) e che negli ultimi giorni ha dovuto subire una vera e propria crocefissione da parte dei vecchi sostenitori del gruppo, sconvolti da un tale cambio di stile. Bisogna ammettere che gli Emperor ci avevano già avvisato con il precedente IX Equilibrium, in bilico tra il classico black e partiture death che sembravano rubate da un cassetto dei Morbid Angel, ma con Prometheus hanno decisamente saldato il conto con le vecchie sonorità. Ihsahn ha praticamente composto tutta la musica che trovate su questo dischetto e ha suonato chitarra, basso e tastiere oltre a cantare, perciò non bisogna stupirsi se il tutto suona come una versione aggiornata dei Peccatum. Dal suo side-project a conduzione familiare (oltre a lui suonano la moglie e il cognato) deriva il sound fortemente schizzato, pieno di riff e di fill, come se Ihsahn sapesse già la durata dell’album e cercasse di metterci dentro più cose possibili nello stesso tempo. Il tentativo, a detta della band, di unire metal e jazz non può dirsi pienamente riuscito, ma la freschezza e l’originalità di quest’opera non lasciano in ogni caso indifferenti. L’apertura è affidata a tre gemme, che da sole varrebbero l’acquisto dell’album. Gli ingredienti sono sempre gli stessi: chitarre che macinano riff al limite del cyber-thrash, cori alla Symphony-X, tastiere e arrangiamenti sinfonici che ricordano l’ultimo dei Dimmu Borgir ed una batteria ultra-potente e precisissima (complimenti a Trym che strappa applausi fino all’ultimo secondo). Dopo questo quarto d’ora di goduria intensissima l’incantesimo si spezza: gli intrecci di chitarra diventano sempre più pretenziosi, e anche le sperimentazioni vocali di Ihsahn iniziano a stancare. Il disco a questo punto non avrebbe più ragione di esistere, se non fosse per alcuni autentici colpi di genio ad opera di Samoth che rimettono in carreggiata le composizioni, fino al grand finale con il gioiellino Thorns On My Grave. In tutto questo calderone di influenze, sperimentazioni e tanta tanta tecnica, la componente black metal non supera neanche il 5%, restando confinata nello stile vocale e in alcune partiture di batteria. Ok, questi non sono gli Emperor di Inno A Satana, e lo stesso Ihsahn ha dichiarato di non sentire più alcun interesse per quel genere. Ma provate ad immaginare se questo disco fosse stato composto da un gruppo sconosciuto di nome Prometheus, ve la sareste sentita di bocciarlo?
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