Eccovi Downthesun, ulteriore uscita di un progetto parallelo di un membro degli Slipknot (manco a dirlo sempre sotto le sapienti grinfie di RR), questa volta capitanato da Satone, ovvero il Clown Tech del combo proveniente dall'Iowa (la produzione esecutiva è sempre a carico dello stesso Shawn Crahan), che va ad affiancare nel roster della label olandese i Murderdolls di Joey Jordison e gli Stonesour di Corey Tylor. Vi dico subito che questo progetto è quello dei 3 che più di tutti si avvicina al concetto di Nu Metal, anche se la differenza dalla band madre è spiccata (ma non poi così notevole), soprattutto per quanto riguarda l'atteggiamento più psicopatico e meno aggressivo che gli Stonesour sembrano avere dalla loro, coadiuvato da un percorso che song dopo song prende sempre più la forma di un qualcosa di indefinibile e di mutevole. La song d'apertura, 'Medicated', apre le danze proponendo un tiro notevole, ove il groove la fa da padrone e le due voci fanno a gara per vedere chi riesce a fare più danno. 'We All Die', sposta il tiro verso un utilizzo più dinamico sia delle vocals che di tutto l'ensamble in generale, aprendo a quella clean one, ed ad un chorus diretto...dalla terza song, 'Enslaved', qualcosa comincia a cambiare: breve intro elettronico, atteggiamento più pericoloso (qua gli Slipknot comunque fanno capolino) e chorus incalzante mid tempo, con accenti elettronici sui quarti per enfatizzare l'atmosfera apocalittica, molto simile allo stile fearfactoriano di 'Obsolete'. 'Lucas Toole' confonde ulteriormente le idee, rimanendo sospesa tra i Korn ed i Tool, mentre l'evoluzione interna del platter, dopo 'Zero' (30 secondi di atmosfere distorte) ci porta a 'Pure American Filth', una song decisamente brutale ed abrasiva, pestata e violenta, con chiari riferimenti al Death Metal. Ma la vera sorpresa è 'Pituful'...provate ad immaginare gli Smashing Pumpins che suonano del Nu Metal...qualcosa decisamente di malato ed insano! 'Scapegoat' fa ritornare l'atmosfera psicopatica ed oscura, riportando ancora alla luce alcuni elementi tanto cari ai Fear Factory, questa volta prima maniera. La successiva 'Listen' è una splendida ballad, pura ed incontaminata, cristallina, in perfetto stile Red Hot Chili Peppers, in cui la voce pulita la fa da padrone ed il chorus è ottimamente supportato dai growls in sottofondo, 'Eye Confide' continua il discorso slow song, puntando sul pathos e sul feeling che la track emana già dalle prime note (un qualcosa che ricorda 'This Love' o 'Hollow' dei Pantera), mentre 'Jars' ripunta tutto sul groove e 'Revelations' chiude l'album producendo 15 minuti di psicadelia visionaria e inquietante, ove atmosfere schizzate vanno a braccetto con la sensazione di paranoia e di lurida sporcizia che la song trasmette. Buon album, dinamico e vario nel suo incedere, che cresce e matura song dopo song, supportato anche dall'ottima produzione di Mr. GGGarth Richardson (Mudvayne, Rage Against The Machine). Consigliato in attesa di Slipknot.
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