Copertina 5,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2005
Durata:52 min.
Etichetta:Roadrunner
Distribuzione:Universal

Tracklist

  1. 540,000 DEGREES FAHRENHEIT
  2. TRANSGRESSION
  3. SPINAL COMPRESSION
  4. CONTAGION
  5. EMPTY VISION
  6. ECHO MY SCREAM
  7. SUPERNOVA
  8. NEW PROMISE
  9. I WILL FOLLOW
  10. MILLENIUM
  11. MOMENT OF IMPACT

Line up

  • Burton C. Bell: vocals
  • Christian Olde Wolbers: guitars
  • Byron Stroud: bass
  • Raymond Herrera: drums

Voto medio utenti

Essendo ultimamente un po’ distratto, quando ho visto il cd dei Fear Factory sulla mia scrivania ho pensato a qualche uscita del cazzo che a questi americani piace rilasciare ogni tanto, come i vecchi “Fear is the Mindkiller” o “Remanufacture”, visto che “Archetype”, il grande disco di ritorno dopo lo scioglimento provvisorio e l’abbandono di Dino Cazares, è vecchio di pochissimi mesi.
Invece “Transgression” è la nuova fatica di Burton Bell e soci ma non gioite troppo perché, senza mezzi termini, questo lavoro è una mezza ciofeca.
Eggià, uno non fa in tempo a festeggiare una band rinata che subito col disco successivo si viene gettati nello sconforto.

Punto primo: la produzione, se comparata solo col precedente “Archetype”, fa pena: molto meno incisiva e pesante, le chitarre hanno perso moltissimo, insomma non c’è proprio paragone col passato, anche recente. Allora la domanda sorge spontanea, perché allontanare un Rhys Fulber per Toby Wright che può giusto lavorare con gli Alice in Chains e gli attuali Soulfly? Risposta non accettata, qualunque sia.
Punto secondo: 11 brani, 2 cover PIETOSE, entrambe per esecuzione ed una proprio per scelta, ovvero “I Will Follow” degli U2…non ho parole. Ascoltatela e poi mandate il cd a casa del sig. Bell per il rimborso. L’altra, tanto per informazione, è “Millennium” dei Killing Joke, ampiamente sorvolabile.
Punto terzo, che poi è anche il fondamentale: il songwriting di questo album, la qualità stessa delle canzoni. Altalenante è un termine non esatto, dato che su 9 pezzi composti sono molto belli giusto un paio o poco più, poi si passa per l’anonimato, più o meno apprezzabile, di altri 4 ed il ribrezzo totale dei restanti 3, tra i quali spicca un brano che probabilmente avrebbe fatto schifo pure su quella fetecchia urticante di “Digimortal”, ovvero “Supernova”, probabilmente la più brutta canzone da quando l’uomo ha inventato la musica, e mi fa specie come nessuno abbia tentato di impedire il piazzamento di questo aborto, appositamente pensato per le trasmissioni radiofoniche, nella tracklist definitiva.

Parlando dei punti positivi, il disco si apre alla grande con “540.000° Fahreneit”, un brano davvero intenso e solido, pesante e trascinante, e alla luce di questo ti senti anche un po’ preso per il culo data l’illusione suscitata da questa bella opener. Altro brano apprezzabile è “Contagion”, col suo refrain molto melodico ma efficace, e la title-track, con una produzione degna del sound dei FF, avrebbe un tiro davvero massiccio che probabilmente dal vivo non mancherà di entusiasmare, così come la conclusiva “Moment of Impact” che ha il merito di restituire al quartetto americano quella pesantezza ancestrale, retaggio del primo “Soul of a New Machine”, ed anche qui lo spettro di Fulber (o Richardson, fate vobis) torna ad aleggiare.

Fine. A parte la segnalazione della aberrante e sconclusionata “New Promise” e della forse ancor peggiore "Empty Vision" (davvero 2 canzoni allucinanti per bruttezza...credetemi, seriamente inascoltabili), che fanno tris con la sopraccitata “Supernova”, di buono in questo album non c’è più nulla, se non il libretto o facezie del genere.
Allora a questo punto le cose stanno così:
1) questo disco è composto dagli scarti di “Archetype”, dato anche il brevissimo lasso di tempo intercorso, ed è stato voluto dalla Roadrunner per battere il ferro ancora caldo (ma il disco sta andando parecchio male a livello di vendite negli USA);
2) con “Archetype” i Fear Factory han tentato di rimettersi in pista attingendo consensi e clamori dal pubblico più metal e conservatore, ed una volta ottenuto questo hanno tentato, timidamente, nuovamente quello che successe con “Digimortal”, con il medesimo risultato, ovvero un disco pessimo, qui salvato da quei 3 o 4 pezzi ancorati al passato.
Il risultato di questa analisi è, in poche parole: cari Fear Factory, se volete compiere una svolta melodica nel vostro sound, sappiate che vi riesce assai male. O fate quello che sapete fare, ovvero gli “Archetype” ed i “Demanufacture”, allora ok, altrimenti state bene così e per quanto mi riguarda potete anche sciogliervi un’altra volta.
Il prossimo disco ci dirà che scelta hanno fatto. Per il momento, bocciati nuovamente, anche se (per adesso) senza infamia.
Recensione a cura di Gianluca 'Graz' Grazioli

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