Ho consumato talmente i primi due album del MSG, da poter quasi considerare Gary Barden come uno “di famiglia”, la cui voce è sempre un piacere poter riascoltare. Gary, l’ho già detto altre volte, non è, e probabilmente non è mai stato, un prodigioso fenomeno delle corde vocali, ma non vi nascondo che il suo timbro caldo ed accogliente, dai tratti un po’ Gillan-eschi, mi ha sempre affascinato e che ho sempre apprezzato la sua abilità “terrena” nel canto, quella che consente anche a chi non è stato gratificato dal dono della “laringe fantasmagorica”, di tentare, perlomeno, una qualche forma d’emulazione (provateci con Jorn, ad esempio, e vi troverete in ben più insormontabili difficoltà!!).
Accolgo con discreta gioia, dunque, questo primo vero lavoro solista di Mr. Barden (il precedente “Past and present” era una sorta d’antologia ben poco convenzionale del passato artistico che il nostro ha condiviso con Michael Schenker), impreziosito, nei pur angusti limiti delle dimensioni del Cd case (eccola una delle ragioni per cui rimpiangere il “vecchio” vinile), da una suggestiva immagine di copertina e contenente, senza troppe sorprese, poco meno di quarantaquattro minuti di sincero hard-blues, melodico ed avvolgente.
Difficile poter prevedere per questo “The agony and xtasy” un ruolo dominante o pensare che esso possa cambiare le sorti della “guerra” giornaliera, combattuta sulla base di sventagliate continue d’uscite, nel sempre più accidentato campo di battaglia del music business, ma mi piace pensare che, nonostante tutto, anche un disco come questo, confortevole e ben suonato, anche se un po’ “old-fashioned”, possa ritagliarsi un piccolo meritato spazio.
Barden mi sembra in un egregio stato di forma generale e i suoi “collaboratori interni” Michael Voss (Bonfire, Casanova, Silver, Mad Max) e Betram Engel (Silver, Robert Palmer, Jimmy Barnes, Bruce Springsteen) lo supportano con dovizia, senza contare la presenza di coadiutori di spicco, quali (tra gli altri) il “prezzemolino” Tommy Denander, Steve Morris (Shadowman, Heartland, Ian Gillan) e Axel Kruse (Jaded Heart, Mad Max), mentre molto più di una semplice ospitata, almeno ai miei occhi magari un po’ appannati dalla nostalgia, appare il contributo della magica chitarra di Herr Schenker, nell’eccellente solo di “Let me down”, un bel numero “rolleggiante” e pieno di vita.
Altri momenti di pregio sono “Hot daze”, la vaporosa melodia di “Can’t stop dreaming”, l’atmosfera contaminata di rhythm ‘n’ blues che si respira in “Stop (What ´cha doing to me)” e le ispirate interpretazioni vocali che adornano l’irresistibile “Wounded” e la notturna “Change of wind”.
Seguono, poi, con discrete doti complessive, pure lo schietto calore blues emanato da “No more reasons” e “Need some love” (con un abile Denander, nel ruolo di “tormentato” bluesman), le romanticherie “facilotte” di “In & out of love” e l’accomodante “Arise”.
Passione e rispettabile tecnica al servizio di belle canzoni scritte col cuore; la ricetta sembra banale, ma solo chi ha questi suoni scolpiti nel suo DNA, riesce ad ottenere un risultato così credibile: genuinità e attitudine fanno ancora la differenza, anche e soprattutto in un genere “ortodosso” come questo.
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