Negli ultimi mesi pare esserci stato il risveglio del death doom. Draconian, Runemagick, Insomnium e soprattutto i tedeschi Ahab, con il loro capolavoro “The Call of the Wretched Sea” hanno contribuito al rilancio ed alla rinascita di un movimento che da troppo tempo era stato relegato in troppo costretti ambiti e ripudiato dalla scarsa attenzione delle etichette discografiche.
E così anche una piccola label come la Sound Riot riesce a pescare l’asso con i francesi Inborn Suffering che, al debutto, sorprendono in maniera positiva con l’eccelso “Wordless Hope”, un album basato, come giustamente citato nella biografia, dai vecchi Anathema (era “The Silent Enigma”) e dai My Dying Bride di “Turn Loose the Swans”, aggiungendo sia un po’ di melodia nei lunghi, struggenti e straziati assoli sia un pizzico di velocità nei vari breaks mid-tempos disseminati qua e là all’interno dei lunghissimi brani che compongono il disco (a parte un paio di pezzi si va dagli otto ai dodici minuti di durata) e che sono sfruttati alla perfezione per evitare che la canzone, così lunga, si impantani in una immobilità fin troppo evidente ma mantenendo allo stesso tempo una solennità fuori dal comune.
Nulla di difficile e niente di contorto: gli Inborn Suffering fanno cose semplici ma con grande efficacia e questo lo si può capire dall’iniziale “This is who we are”: riffoni pesantissimi, adornati da contemporanei assoli in scala, fanno da presentazione ad una voce, lugubre e declamatoria in primis, feroce ed in growl successivamente, in un crescendo di emozioni fatte di doppia cassa, assoli settantiani, momenti onirici, prima di tornare al sulfureo, maestoso e perenne riff di apertura che col suo incedere si consegna ad uno struggente arpeggio acustico di chitarra, per esplodere nuovamente in un passaggio pieno di odio e sofferenza. Inizio migliore per una carriera musicale non si poteva davvero concepire.
La bella notizia è che tutto il disco prosegue sulle medesime coordinate ed anche le successive “Inborn Suffering” e “Monolith”, forse il capolavoro del disco con armonie che feriscono il cuore, non potranno davvero lasciare delusi tutti i fan di questo genere musicale, dato che oltre ai pregi sopraccitati si avvertono grande intuizioni fatte di inserimenti di pianoforte, violino, sporadiche voci femminili e vari passaggi con doppie voci maschili, pulite e distorte contemporaneamente, usate sempre con grande parsimonia ed intelligenza, che costituiscono la celeberrima ciliegina su una torta praticamente perfetta.
Da segnalare l’ottima produzione, piena e decisamente corposa nelle chitarre quanto presente a livello di batteria (ottimo in particolar modo il suono del rullante e della cassa), una copertina davvero bella ed il fatto che il cantante Fred ed il chitarrista Loic (anche negli Heol Telwen) abbiano lasciato la band dopo la registrazione del disco…sperando che questo non precluda nulla nel songwriting della formazione francese.
Più che raccomandato, anzi, obbligato l’ascolto da parte di chi rimpiange i vecchi Anathema e di chi gode nel sentire i My Dying Bride nei loro sempre meno rari rimandi al loro passato, ed ovviamente da chi ha apprezzato gli ultimi lavori dei gruppi citati in apertura.
Una triste gemma abbandonata nella desolazione di una speranza senza parole che non dovete lasciarvi sfuggire.
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