Copertina 8

Info

Anno di uscita:2002
Durata:46 min.
Etichetta:Iron Glory
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. GATEWAY TO THE SPHERE
  2. SPIRAL CASTLE
  3. SHADOW
  4. SEVEN TRUMPETS
  5. MERCHANTS OF DEATH
  6. BORN UPON THE SOUL
  7. SANDS OF TIME

Line up

  • Mark "The Shark" Shelton: vocals, guitars
  • Mark Anderson: bass
  • Bryan "Hellroadie" Patrick: vocals
  • Scott Peters: drums
  • Momadon: violin (special guest on track 7)

Voto medio utenti

Devo ammettere che "Atlantis Rising" non mi aveva entusiasmato particolarmente; certo, era l'album di reunion di una delle più grandi cult-metal band della storia, di quelle che hanno segnato la nascita di un genere e quindi, come tale, portava con sé un'indescrivibile gioia nel sottoscritto. Dopo l'ovvia esaltazione iniziale, "Atlantis Rising" si era però rivelato un album meno ispirato rispetto al passato, pur essendo in ogni caso sopra alla media delle uscite di questi anni. Insomma, un buon album, ma il fatto che riportasse il logo Manilla Road senza essere, invece, un capolavoro d'immani proporzioni, mi aveva un po' intimorito... E' così che mi sono avvicinato con sentimenti opposti a questo "Spiral Castle", da un lato mosso dall'idolatria sconsiderata che solo ogni metalhead ottantiano che mastica metal e vive per esso può avere verso la leggendaria band dello "squalo" Shelton, dall'altro lato trattenuto da quel rigore professionale che richiede il mestiere di pseudo-scribacchino per una rivista specializzata. Mi è bastato però un solo giorno per allontanare ogni dubbio sulla reale validità dei Manilla Road del nuovo millennio; sì, perché quando in poche ore riesci ad ascoltare nove, e sottolineo, nove volte di fila lo stesso album, e ad ogni ascolto riesci ad emozionarti tanto da avere gli occhi lucidi, vuol dire che si è dinnanzi ad uno di quei lavori che lasciano davvero il segno. Signore e signori, i Manilla Road sono tornati davvero, e con questo "Spiral Castle" l'hanno fatto nel migliore dei modi, con sette canzoni di puro epic metal d'annata che spazzano in un sol colpo tutte le uscite del genere degli ultimi anni, compreso il pur squisito come-back degli immortali Warlord. Dall'introduttiva "Gateway to the Spere", una delle intro più riuscite e drammatiche che abbia mai sentito, si passa alla title-track, indubbiamente il punto di forza dell'album, una canzone teatrale e commovente che alterna rabbia angosciosa ad aperture enfatiche da brividi lungo la schiena. La voce di Mark Shelton è indescrivibile come sempre, semplicemente perfetta nel proprio ruolo, appassionante e capace di un lirismo altissimo ed eccelso. Con gli occhi già velati dalla commozione, ecco arrivare la cadenzata "Shadow", dalle tinte fosche e dall'incedere quasi doom, seguita da "Seven Trumpets", con il suo slancio passionale che tocca il picco di pathos nel refrain, prima di lanciarsi nel roccioso bridge sancito dal duetto tra The Shark e Hellroadie, in quest'album più presente e meglio integrato nel sound generale. "Merchants of Death", giustamente indicata da Mark Shelton come una delle più epiche song mai scritte dai Manilla Road, alterna intermezzi acustici a caldi passaggi rock alla "Metal", mentre la fa da padrona il basso qui eclettico di Mark Anderson; a chiudere il lotto ecco l'orientaleggiante "Born Upon the Soul" e la strumentale "Sands of Time", degno epilogo di un album forse corto, ma perfettamente riuscito che sancisce il ritorno anche artistico di una delle più grandi metal band di tutti i tempi. "Spiral Castle" è un disco che vi appassionerà, che vi trascinerà a forza nel proprio mondo onirico, che vi farà piangere, ma anche sorridere, così come avviene con le più grandi opere artistiche musicali e teatrali della storia. Sì, perché i Manilla Road non sono solo musica, sono qualcosa di più, che trascende la dimensione musicale e viaggia direttamente dritto al cuore. Questo "Spiral Castle" non potrà piacere a chi crede che l'epic metal siano i Blind Guardian o i Rhapsody, o a chi crede che il valore artistico di una band dipenda dal numero delle copie vendute. I Manilla Road non hanno mai sfondato a livello commerciale, ed è meglio così, ma sono entrati di diritto nella storia del metal, tanto da divenire una cult band con un seguito fedele come solo pochi altri hanno. Tutto il resto sono chiacchiere inutili. Chi ama la band statunitense non si potrà lasciar scappare questo must; chi non l'ha mai apprezzata passi invece oltre, semplicemente non ha la sensibilità sufficiente per poter comprendere un gruppo ed un'opera di tale portata. "People, they ask what can you play. There's only one thing to say: we're Manilla Road".
Recensione a cura di Lorenzo 'Txt' Testa

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