The Templars Strike Back!!! Quinto album da studio per gli Hammerfall, ormai affermata realtà del panorama metal mondiale e fra i gruppi di punta della sempre meno indie Nuclear Blast. L’altisonante titolo “CHAPTER V: UNBENT, UNBOWED, UNBROKEN” non fa il paio con una copertina che rimpiange l’era Marshall (ma anche la tematica fantasy-videogame di “Crimson Thunder”), troppo semplice e poco appariscente, complice un’ambientazione glaciale poco coinvolgente.
Così come nei precedenti capitoli, l’opener debutta con quell’atmosfera degna della splendida “Templars of Steel” ma, ahimè, “Secrets” non ne possiede né l’incedere né la melodia e, anche a causa di un chorus inconsistente, alla fin fine si rivela un mezzo esperimento fallito, un onesto pezzo che però nelle mani degli Hammerfall, maestri in questo genere di brani, appare solamente un mero riempitivo, ed il break centrale decisamente inopportuno non fa altro che appesantire ulteriormente un pezzo già non entusiasmante che si fa apprezzare quasi esclusivamente per i solismi di un Elmgren, comunque in gran forma per tutta la durata del disco.
Si procede con la stessa formula del passato, ed ecco quindi il singolo “Blood Bound”, molto semplice e canonico, che riprende in pieno le redini di “Hearts on Fire”, anche in questo caso non doppiandone la freschezza e la vivacità ma in ogni caso lasciandosi apprezzare anche se in maniera moderata.
Dopo un inizio non proprio scintillante, è l’ora della riscossa per la band di Dronjak che con “Fury of the Wild” torna a brillare, grazie ad un Cans in versione Warlord, altissimo per tutta la durata del brano, che ben si adatta a questo up-tempos, decisamente uno dei migliori del lotto, veloce, scattante e con una melodia finalmente azzeccata al 100% ed un refrain che si stampa in mente fin dal primo ascolto ma senza essere stucchevole, quella capacità su cui gli Hammerfall si sono basati sin dal primo capolavoro “Glory to the Brave”. Dopo “Fury of the Wild”, un po’ la titletrack dato che il titolo viene citato in maniera decisamente epica nel corso del brano, si passa a “Hammer of Justice”, nuovamente un mid-tempos che richiama molto alla mente la vecchia “Let the Hammer Fall”, qui resa in versione più movimentata e frizzante, ma ugualmente molto godibile per un brano decisamente valido. Lo stesso non si può dire per la ballad “Never, Ever”, assolutamente NON ispirata, alla stregua delle precedenti “Dreams Come True” ed “Always Will Be”, un brano che può risultare carino e gradevole ma che di certo fa rimpiangere, e di brutto, pezzi come “Remember Yesterday” o “The Fallen One”, gioielli mai ripetuti dai paladini del power europeo. Peccato… Le successive “Born to Rule” e “The Templar Flame” riportano il disco nelle giuste coordinate, ovviamente sempre (purtroppo) piantato su granitici mid-tempos, caratterizzati da belle melodie e linee vocali azzeccate, arricchite da cori maestosi e battaglieri. L’ardore costruito fin qui si smoscia in maniera incontrovertibile con la deprimente “Imperial”, penoso tentativo acustico ad opera di Oscar “Malmsteen” Dronjak di emulare qualche altrettanto palloso brano dei peggiori Blind Guardian e per minuti 2:29 la noia cala sovrana incontrastata di questo album.
“Take the Black” sembra essere messa appositamente in posizione successiva, un pezzo brioso e veloce appare la cura migliore per il sonnifero fin qui proposto, tanto che l’accoppiata Cans/Dronjak la pone appena prima della suite (suite gli Hammerfall? Yesssss!!!) “Knights of the 21st Century”, più di 12 minuti di Hammerfall come non li avete mai sentiti, introdotti dai grugniti di Cronos dei Venom (che poi detterà con Cans durante il brano vero e proprio) per i primi 3 minuti di introduzione, fino ad arrivare alla canzone vera e propria, un super mid-tempos rocciosissimo (si vede che è il periodo, dopo “Lochness” dei Judas Priest) e sulfureo che si scatena in un chorus davvero epico che sembra davvero stabilire che i cavalieri del 21esimo secolo siano i nostri cinque svedesoni, una sorta di trionfale autocelebrazione stile Manowar? Fatto sta che il tutto risulta assolutamente riuscito, tranne l’eccessivo strascicarsi del brano che avrebbe fatto la sua figura accorciato di quei 3 o 4 minuti, giusto prima del cambio di tempo di Mr. Johansson che riporta il brano su ritmi più snelli con un nuovo cambio di melodia assolutamente eccezionale…e che diamine, dovevamo per forza arrivare all’ultimo brano per avere degli Hammerfall così???
Peccato che al decimo minuto praticamente il pezzo sia concluso e si debba aspettare due minuti nel silenzio per avere l’inutile finale declamazione di Cronos che non ha né capo né coda.
In definitiva: un album con troppi alti e bassi, che per questo ritengo inferiore sia all’ottimo “Crimson Thunder” sia a quel “Renegade”, album martoriato da una produzione di scuola elementare (e ci sono andati anche fino agli Stati Uniti da Wagener per quello schifo…) ma con brani di assoluto valore come “Templars of Steel”, “A Legend Reborn” o “The Way of the Warrior”. La produzione, nuovamente affidata a Charlie Bauerfeind ma realizzata in Danimarca nei Lundgaard Studios (con mix ai Mi Sueno di Tenerife) è curata ma lontana dai livelli di perfezione raggiunti in passato ai Fredman Studios con Nordstrom dietro la console.
Per tutti questi motivi, a malincuore colloco “Chapter V” all’ultimo posto nell’ipotetica scala di valore di tutti gli album degli Hammerfall, un album in ogni caso valido e che merita molto ampiamente una posizione un gradino sopra la mera sufficienza. In ogni caso, auspico un repentino quanto opportuno ritorno alle sonorità di “Legacy of Kings”, quelle coordinate decisamente power che sono state abbandonate, hanno fruttato una nuova vita agli Hammerfall con connotazioni più classiche, connotazioni però che a quanto pare cominciano a soffocare la band della coppia Dronjak/Cans...
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