Scampoli di talento preda di una sicurezza nei propri mezzi che quasi infastidisce. Schegge di musica di qualità pregiata immerse in note e armonie ben realizzate ma che tranne qualche eccezione non lasciano il segno né imprimono impronta alcuna nell’universo emotivo dell’ascoltatore, forse anche a causa di una musa ispiratrice meno generosa perché offesa dalla tranquillità arrogante di chi ormai sa di essere “arrivato” e di non poter perdere più nulla: ecco i Dream Theater targati 2007, ed ecco la loro nuova release, “Systematic Chaos”.
Eccoli di nuovo puntualissimi, come succede da circa 7 anni a questa parte, a raccontare in musica un’altro capitolo della loro saga artistica che, nonostante un aspetto formale sempre abbastanza differenziato, fin dalle prime note fa già capire alle orecchie più smaliziate dove porterà, quali luoghi artistici attraverserà, in cosa peccherà e cosa dimenticherà in altre dimensioni spazio-temporali. A priori varrà però di nuovo la pena di non sottovalutarlo, perché sarà comunque capace di quei guizzi artistici, di quegli scampoli di talento che continuano ancora a non essere roba alla portata di tanti. Basteranno pochi esempi per capirlo, come le melodie strumentali di “In The Presence Of Enemis Pt. 1”, il riff di “Forsaken” o la raffinatezza di “Repentance” – non invece le due suite finali (nella loro interezza), che paiono in realtà un’ulteriore conferma di quanto i Dream Theater di oggi saprebbero fare ma che, s’indovini il perché, non riescono più a fare fino in fondo.
“Systematic Chaos” non ammalia, ma a tratti si apprezza e in parte si ammira, nonostante i momenti francamente trascurabili che propone (“The Dark Eternal Night” su tutte), per via di un talento e una classe che invece non possono essere trascurati. E forse anche per questo si sopportano senza troppa pena anche le tante citazioni stilistiche che in un’oretta e mezza di musica i Nostri accumulano (dai Queensryche ai Pink Floyd, dagli Opeth ai Muse, dai Pain Of Salvation, ai soliti Metallica e Rush, questi ultimi chiamati in causa in maniera spudorata nell’intro di “In The Presence of Enemies Pt.1”), e che di anno in anno diventano sempre più invadenti.
L’album solleverà innanzitutto il solito polverone di polemiche che si staglia attorno ad ogni uscita dei teatranti, e poi (!) piacerà o non piacerà, ma per certo continueranno a mancargli quelle canzoni che sappiano ficcarsi nella testa e nel cuore dell’ascoltatore, e sopravvivere nel tempo. Composizioni così non ce ne sono ed è un peccato, perché ciò che il gruppo propone oggi, sarà anche al di sotto delle sue capacità, ma rimane comunque poca roba. E’ un peccato anche perché questa band era stata capace di album indimenticabili e se solo si sforzasse maggiormente di focalizzare le idee e asciugarle di boria, probabilmente ne sarebbe ancora capace.