Avevo conosciuto i Wizard ai tempi di "Bound for Metal" (1999, al loro terzo album) e là mi ero fermato. Li ritrovo solo ora con "Goochan" che porta a sette il totale dei dischi realizzati dalla formazione tedesca. Il nuovo lavoro, un concept album, mostra un gruppo che nel tempo si è allontanato dalle sonorità Epic True Metal degli esordi, che emergono con prepotenza solo nella conclusiva "Return of the Thunderwarriors".
Il songwriting si è fatto, infatti, maggiormente vario, ma questo sembra aver più che altro comportato una perdita d'identità per i Wizard, visto che, se anche sono cambiate le fonti d'ispirazione, non ha certo posto rimedio a quella mancanza di originalità e di spunti vincenti già riscontrata su "Bound for Metal", un problema questo, che si fa sentire in maniera più intensa nei chorus.
Troviamo così pezzi come "Pale Rider", "Lonely in Desertland" o la thrashy "Sword of Vengeance" che richiamano il Power Speed articolato e modernista dei connazionali Symphorce ed Angel Dust, mentre poi, ad esempio con le successive "Call to the Dragon" e "Children of the Night", i Wizard piazzano alcune canzoni parecchio scontate che pescano a piene mani a destra e a manca. Non invertono certo questa tendenza, ma perlomeno le ottantiane "Black Worms" e "Two Faces of Balthasar" hanno dalla loro un bel tiro.
Una decina di brani che offrono ben poche emozioni ma che sopratutto sono troppo derivativi. Davvero troppo per un gruppo con l'esperienza dei Wizard.
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