“
We can reach the stars/ I wanna see how high we can fly/ Now I’m lying on the floor/ Wanna touch the sky/ Give me some more.”. Vi chiederete il tizio in questione sotto l’effetto di quale strana sostanza allucinogena sia. Non importa o forse si, se poi il risultato è un disco come “
Gateway”. I
Bongzilla giungono al terzo disco su Relapse e sono sempre più intrippati col loro stoner/doom/sludge-core impastato e acido.
Assicuratisi una robusta dose di THC-power, ci deliziano con 47 minuti di musica che definire sfibrante è riduttivo. Un po’ come farsi di LSD, non sai mai il trip come ti prende. Ecco, se siete fortunati vi farete un viaggio spaziale tra riffs grassi e acidi di stretta derivazione sabbathiana che si muovono tra fughe acide in pieno desert-stoner o rallentamenti doomy nei quali i riffs diventano pachidermici e pesanti come macigni distillando vibrazioni a tratti noisy e iperamplificate tra sludge impastato e sperimentazioni soniche. “
Gateway” è un disco fatto di pezzi lunghissimi nei quali la band sembra davvero perdere la cognizione del tempo e del luogo in cui si trova arrivando a ridondare i riffs fino allo sfinimento, fino all’annichilimento dei vostri poveri cervelli. Ma i Bongzilla non sono cattivi, in fondo lo fanno per voi. Una volta annichiliti vi troverete in uno stato di pace cosmica nel quale davvero vi sembrerà di volare e toccare il cielo con un dito. Si annulleranno dolore e sofferenza e vi sembrerà di poter sfidare le leggi della fisica e raggiungere un nuovo stato di conoscenza e consapevolezza. Vedrete suoni e udirete colori, vi perderete in una luce accecante e una piacevole sensazione di calore e benessere vi assalirà. Vi si apriranno le porte dell’Eden.
Se però il trip vi prende male sarete trascinati in un viaggio che vi sembrerà non finire mai e una crescente sensazione di disagio e panico vi assalirà. Le lunghe fughe strumentali vi sembreranno come autostrade desertiche che non finiscono mai in un labirinto straniante e stralunato. Vi sentirete in un ambiente alieno ed ostile e vi sembrerà di impazzire. La voce delle poche parole, urlate a mò di crusty-screaming, di
Mike Makela vi sembrerà la vostra coscienza risalita dall’abisso per mettervi di fronte alle vostre paure, alle vostre fobie, ancestrali, nere e immutabili.
Un disco quindi che nel bene e nel male vi assicurerà sensazioni forti, estreme. Nel malaugurato caso non fosse così allora tastatevi il polso e prendetevi il battito perché forse siete morti e non lo sapete ancora. Gli altri allaccino pure le cinture. Il trip sta per iniziare perché come ci dicono i
Bongzilla: “
It’s time for lots of weed.”.
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