Probabilmente l’idea di una band metal ungherese può ancora far sorgere curiosità in un mondo musicale globale. L’Ungheria era dunque per il sottoscritto una casella vuota prontamente riempita da “I Scream Up To The Sky”, il quarto disco per gli Ektomorf che, forti del successo in patria, cercano consensi fuori aiutati dal deal offerto dalla Silverdust. Gli Ektomorf si presentano risoluti e determinati, dotati di un suono rotondo e pesante, frutto di una produzione ad alto budget ma anche di un percorso musicale volto a rileggere i classici del metal in una forma il più possibile personale. Quello che esce fuori dai solchi del disco è rabbia determinata ad esplodere, la rabbia della tragedia vissuta dal leader della band Farkas Zoltan dovuta alla perdita di un figlio e il senso di ribellione insito nell’essere appartenenti ad una minoranza etnica come quella dei Rom che, a quanto dichiarato da Farkas stesso nella nostra intervista, non sembra passarsela bene nemmeno in patria. Il canto di un vecchio gitano introduce la title track e da lì in poi è un susseguirsi di riff a cavallo tra post-trhash e hardcore riletti in chiave molto moderna, quasi tecnologica grazie ad alcuni campionamenti e filtri elettronici: dei Sepultura est-europei e brani come “You Leech”, “I miss You”, “An les Devla” evidenziano proprio le similitudini con la band di Belo Horizonte soprattutto nel cantato di Farkas aggressivo e degno del migliore Cavalera. Come i Seps del resto gli Ektomorf amano riscoprire le proprie radici musicali e nel bel mezzo dei pezzi compaiono litanie gitane, sprazzi di un suono che rende omaggio ad un background vasto basato pure sul reggae di “Fajdalom Konneyei “ e che arriva sino ai Betles coverizzati in stile speed thrash in “A Haed Day Night”, un po’ grottesca ma tutto sommato divertente. “I Scream Up…” è un disco genuino, non ispiratissimo nelle composizioni ma in grado di trovare un punto di forza nella visceralità che sprigiona ad ogni secondo; non dubito che i quattro ragazzi ungheresi sapranno migliorarsi.
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