Con l’esordio autointitolato i Fate avevano sorpreso il mondo dell’heavy metal, “perplesso” di fronte alla scelta di un personaggio come Hank Sherman, protagonista della grandezza dei primi Mercyful Fate, di voltare pagina in maniera così radicale e realizzare, in compagnia di vecchi amici ed ottimi musicisti, un dischetto di hard melodico e “commerciale”.
Al di là di quello che per molti è considerato un “tradimento”, il risultato è intrigante ma, a conti fatti, ancora un po’ immaturo ed è il successivo “A matter of attitude” a garantire ai nostri danesi l’accesso di diritto nell’Olimpo del rock adulto europeo, luogo che non abbandonano nemmeno con il lavoro del 1988, “Cruisin´ for a bruisin´”, nonostante i suoi presupposti non fossero all’apparenza i più vantaggiosi.
L’abbandono del volubile Sherman, infatti, desta qualche preoccupazione tra i fans, che vengono immediatamente rassicurati dalla bravura del suo sostituito, l’enigmatico The Mysterious Mr. Moth, il quale, a dispetto del suo pittoresco appellativo, non fa rimpiangere per nulla l’illustre predecessore, svolgendo il suo compito con preparazione e personalità.
Il suono del terzo disco del Fato è ancora una volta avvincente, melodicamente intenso e assieme pure sufficientemente “fisico”, con le tastiere, gestite stavolta dallo specialista di “ruolo” Flemming Rothaus (in precedenza era stato il bass-player Steiner ad occuparsene), a svolgere una puntuale e seducente funzione di collante tra le splendide suggestioni musicali in esso contenute.
E’ sufficiente ascoltare la riproposizione della bellissima “Love on the Rox” (uno dei pezzi “forti” dell’esordio), gratificata da un arrangiamento AOR più maturo e vincente, per rendersi conto di quanto il quintetto non abbia sofferto dell’avvicendamento alla sei corde, mentre brani appassionanti come “Beneath da coconuts”, la Starz-esque “Lovers”, la ballad “Babe, you got a friend”, “Lock you up”, “Diamond in the rough” e “Send a little money”, non possono che rendere “Cruisin' for a bruisin'” un platter molto appagante che si attesta a meno di un’incollatura da “A matter of attitude”, universalmente riconosciuto come il vertice assoluto della produzione dei Fate.
Degna di menzione, poi, pure la frizzante “Dead boy, cold meat” in cui Limbo e Mr. Moth si divertono ad esporre una loro personale rilettura delle peculiarità di Dave Lee Roth e Eddie Van Halen, rispettivamente, con conseguenze piuttosto soddisfacenti.
Concludiamo questa disamina con i necessari ringraziamenti per la MTM, ormai specializzata nella riscoperta di gemme del passato e che, in particolare, sembra davvero aver puntato molto su quella che fu definita la “band più americana di Danimarca”, ristampandone completamente il vecchio catalogo e dandole pure la possibilità di un meritato ritorno (“V” del 2006).
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