Il 2007 sarà ricordato come l'anno della rinascita del prog scandinavo: dalle felici conferme di Kaipa e Magic Pie all'appena sufficiente ritorno degli Anekdoten, la scena prog nordica è sempre riuscita a distinguersi da quella inglese o americana perchè ha saputo meglio recuperare il sound vintage di organi e tastiere combinandolo con elementi folk, psichedelici, pop commerciali (è il caso degli ACT) per proiettarlo nella moderna scena musicale, percorso che gli svedesi Beardfish non sembra abbiano saputo o voluto fare. Malgrado siano già al loro terzo lavoro (un debut cd nel 2003 ed un doppio, "The sane day", nel 2006), il continuo appoggiarsi a dei mostri sacri come Gentle Giant (lo hanno fatto anche gli Spock's Beard con "Thoughts" direte voi, ma almeno ci hanno messo un po' di creatività), Jethro Tull, Caravan, nonchè Uriah Heep è alla lunga stancante e fastidioso, all'insegna di un retro regressive rock poco ispirato e troppo derivativo che fatica a destare il benchè minimo interesse anche per chi è amante di queste sonorità, al punto da farmi rimpiangere le numerose new prog bands che negli anni '90 venivano prodotte dall'olandese SI Music e l'inglese Cyclops (Fruitcake, Grey Lady Down, Red Jasper, Sinkadus, Sphere, The Cross, Parallel or 90 Degrees), alcune delle quali ingiustamente sparite dalla scena, altre sopravvissute a stento (Echolyn, Salem Hill). Ma torniamo ai Beardfish: la marcata vena soffice e malinconica emerge nei brani dalla struttura più lineare come la dolce acustica "Afternoon conversation", la piano ballad beatlesiana "Dark poet", la voce accompagnata dalla chitarra in "Without you" che ricorda il Greg Lake di "Still you turn me on", e l'altra lentissima atmosferica "Same old song" accompagnata da soffici tastiere, un cantato sonnolento interrotto nella seconda parte da un guitar solo psichedelico che solleva il blando ritmo nella parte finale, mentre il brevissimo suono di un organetto (i 40 stentati secondi di "On the verge of sanity" meritavano forse un titolo?) sfocia nel feeling ancora malinconico di "Sunrise", brano ricco di aperture strumentali molto datate chiuso dalle urla rabbiose del vocalist Sjobloy. L'hard rock settantiano e ritmato di "And never know" racchiude un breve saccheggio da "Too old rock'n'roll too young to die" dei Jethro Tull e risulta essere l'episodio più felice e solare dell'intero disco, mentre i 12 minuti di "Roulette" ci riportano alle radici del prog con l'intro strumentale (un mix tra Supertramp e Rick Wakeman) concluso da un'atmosfera calma e distensiva che si alterna a cambi di tempo più incisivi ma sempre troppo derivativi (intorno al decimo minuto c'è un mezzo plagio ancora ai J.Tull di "A passion play"). La musica non cambia in "Harmony", dove il plagio ai Gentle giant viene evitato solo aggiungendo elementi di hard blues di chiara ispirazione Led Zeppelin, Deep Purple, Uriah Heep, stesso discorso per la strumentale "The ungodly slob" ben suonata e tecnica ma per niente personale (a parte qualche strato di tastiere in più), e si continua a copiare alla grande in "Year of the knife", ancora i Gentle Giant con qualche schitarrata hard. Se è vero che è previsto un seguito, spero solo che i ragazzi si diano una svegliata e mettano da parte le fotocopiatrici.
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