Caspita Signori … la Strana Officina …
Qui si rischia davvero di affidarsi all’onda dei ricordi, a quando si era giovani e (forse) belli, a quando tutto sembrava più spontaneo e genuino.
Un altro tangibile pericolo è quello di dilungarsi in notazioni di tipo “storico” (una cosa che mi piace molto, in verità!), forse, in questo caso più che in altri, piuttosto superflue.
E invece no, mi sforzerò di evitare di lasciarmi dominare dalla “nostalgia” e dall’affetto che nutro, per ragioni non solo artistiche, per questo pezzo di storia del metallo tricolore, cercando, nonostante questo “The faith” (titolo assolutamente eloquente) sia, in fondo, un lavoro dalle sostanziose velleità “celebrative”, di parlarvene come fosse il nuovo prodotto di una band “qualunque”, che decide di ritornare all’attività discografica dopo un periodo di stasi (una situazione sicuramente non inconsueta, nei tempi recenti), dimenticandomi per un attimo di quanto importante essa sia stata per lo sviluppo del metal in Italia.
L’operazione è apparentemente meno “ardua” di quanto si possa prevedere: sarà per l’impetuoso drumming di Rolando Cappanera, per il chitarrismo prorompente di Dario Cappanera, un musicista che conosce a fondo tutti gli anfratti più reconditi della parola “groove”, per la produzione dinamica e “profonda” che gratifica questo lavoro, o più “semplicemente” perché stiamo parlando di una musica che scaturisce dal cuore e poi coinvolge i muscoli e tutto il resto, ma i brani che la Strana ha deciso di riproporci, sembrano non “invecchiare” e mantenere intatta la loro vitalità e la loro incredibile carica espressiva.
Cosa dire, poi, di Bud Ancillotti ed Enzo Mascolo … una vera “sicurezza” per intensità e competenza, e mai come in questo frangente queste poche parole vogliono significare un plauso incondizionato.
Le canzoni? Beh, chi le conosce, come anticipato, le ritroverà splendide come sempre e pure rivitalizzate da maturità, tecnica e tecnologia (lasciatemi, però, dire che le loro versioni originali, con tutti i “limiti” dell’epoca, continuano ad avere un fascino incredibile!), chi invece non le ha mai sentite (pochissimi, voglio sperare!), le dovrà scoprire da solo, instillandomi pure un po’ d’invidia, perché sarà sicuramente molto appassionante sottoporsi per la prima volta all’aurea bellezza di questi sfavillanti gioielli, tra cui spiccano le mai pubblicate su disco “Profumo di puttana” e “Officina” (ma chi ha avuto la fortuna di assistere ad uno show della band toscana certamente li ricorda!), per poi risalire il fiume d’emozioni tramite “Autostrada dei sogni”, “The ritual”, “Metal brigade”, “King troll”, “Unknown soldier”, “Black moon”, “Burning wings” (le ultime due non sono altro che le versioni in lingua inglese di “Luna nera” e “Piccolo uccello bianco”) e tutti gli altri mirabili numeri presenti nell’albo.
Ho come l’impressione di non aver ottemperato del tutto il mio intento di sfuggire ad un approccio all’insegna del “rimpianto del passato”, ma giuro che ci ho provato con tutte le forze e mi scuso fin da ora se non sono riuscito a comunicare in maniera efficace il reale valore di un disco che, tengo a ribadirlo, va ben oltre il suo interesse “rievocativo”.
Il ritorno della Strana Officina è un evento che non si può sottovalutare e sono fortemente persuaso che essa saprà regalarci anche con future nuove composizioni, per le quali spero vivamente l’attesa non sia troppo lunga, le stesse inebrianti suggestioni che sprigiona il suo “vecchio” repertorio.
Quella sarà la “vera” sfida, mentre per “The faith” il destino, se c’è una giustizia, è quello di fare bella mostra di sé nelle collezioni e nei lettori di Cd di tutti gli appassionati di HM, qualunque sia la loro età.
Sarò “retorico”, ma mi sembra di vedere qualcuno che sorride dal suo punto di vista “privilegiato”: sono Fabio, Roberto e Marcellino, e anche loro sono fieri che quella leggenda che essi stessi hanno contribuito a creare non sia ancora arrivata all’epilogo.
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