Copertina 7,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2007
Durata:75 min.
Etichetta:Nuclear Blast
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. THE POET AND THE PENDULUM
  2. BYE BYE BEAUTIFUL
  3. AMARANTH
  4. CADENCE OF HER LAST BREATH
  5. MASTER PASSION GREED
  6. EVA
  7. SAHARA
  8. WHOEVER BRINGS THE NIGHT
  9. FOR THE HEART I ONCE HAD
  10. THE ISLANDER
  11. LAST OF THE WILDS
  12. 7 DAYS TO THE WOLVES
  13. MEADOWS OF HEAVEN

Line up

  • Anette Olzon: vocals
  • Erno Vuorinen: guitar
  • Marco Hietala: bass, vocals
  • Jukka Nevalainen: drums
  • Tuomas Holopainen: keyboards

Voto medio utenti

Prima di parlare dei Nightwish e del nuovo disco “Dark Passion Play”, togliamo il dubbio a tutti coloro che vorranno sapere come prima cosa: “Com’è la nuova cantante rispetto a Tarja?”
Diciamolo subito, la prova è superata.
E’ brava, è bella, canta bene (perlomeno su disco) ed offre una prestazione decisamente valida sia per tecnica che per interpretazione, anche se ovviamente la peculiarità dei Nightwish è ormai scomparsa, e sfido qualsiasi ascoltatore medio a non confondere nelle prime battute di un brano la voce attuale con i Tristania, gli After Forever e tutta la miriade di gruppi, vecchi ed esordienti, con interpreti femminili.

Ovviamente rispetto al passato l’approccio è completamente diverso, non c’è la lirica di Tarja che, se da una parte aveva contribuito in maniera determinante al successo della band finlandese, onestamente aveva iniziato a mostrare la corda, avvoltolandosi in una spirale di noia e ripetitività che lasciava poco spazio alla novità ed alla freschezza.
Sarà forse anche per questo che il leader Tuomas, cogliendo la palla al balzo, è corso ai ripari ingaggiando Anette Olzon e lanciandosi nel nuovo “Dark Passion Play”, un sicuro nuovo successo per il nuovo corso dei Nightwish.

Tutte rose e fiori dunque? Quasi.
Il problema dei Nightwish al momento non è rappresentato dalla cantante, ma da chi scrive i pezzi, ovvero proprio il bel Tuomas che già in passato, soprattutto su “Once”, ha ripetuto l’errore (artistico, non commerciale) già commesso da Rhapsody, Manowar, Blind Guardian e molti altri, ovvero quello di sovraccaricare le canzoni ed in generale tutto il disco con orchestrazioni e sinfonie degne di una colonna sonora e non di un album, soprattutto se metal, con il plurimo risultato negativo di un disco decisamente dalla durata troppo elevata, di un andamento troppo lento e stentato, di qualche brano nettamente sotto tono ed infine della sensazione di aver sciupato con tutta questa sovraesposizione delle composizioni che invece potevano rivelarsi, qualora fossero più snelle ed asciutte, decisamente vincenti.
Fortunatamente tutto ciò, che abbondava nell’album precedente, è stato limitato quasi del tutti ai “quattordici minuti quattordici” dell’opener “The Poet and the Pendulum” che è un lampante esempio di quanto asserito precedentemente…
Come gli Helloween in “The King for a 1000 years”, un bellissimo brano di 6 o 7 minuti è stato storpiato in una inutile ed esorbitante suite di quasi un quarto d’ora che si parla addosso e si compiace della propria bellezza, con tanto di sussurri, narrazioni, tromboni, corni e timpani che nemmeno al concerto di Capodanno.
Insomma, se vogliamo vederlo come un esercizio di stile allora nulla da dire, ma prendendola per quello che dovrebbe essere, ovvero una semplice canzone, il giudizio scende ai minimi termini, anche grazie alla seconda parte del pezzo dove la voce maschile non fa davvero una buona figura ed i rallentamenti divengono a dir poco numerosi.

Il morbo di Tuomas si placa e comincia la band nella propria interezza: “Bye Bye Beatiful” (un messaggio a Tarja?) e la seguente “Amaranth” ci consegnano finalmente delle composizioni in pieno stile Nightwish: ricche, sfarzose, barocche ma pur sempre lineari e semplici nella loro struttura, il che ce le fa apprezzare in maniera più che entusiasta e sono questi i Nightwish che vorremmo sempre ascoltare e lodare, soprattutto con una Anette davvero valorizzata da delle linee vocali perfette.
Ed il disco prosegue fortunatamente, quando più quando meno, su queste coordinate fra una “Cadence of Her Last Breath” ed una “Master Passion Greed” ancora troppo appesantita da fiati talvolta imbarazzanti e quasi interamente cantata dal bassista Marco Hietala che però, ripetiamo, sarebbe bene si limitasse ai suoi Tarot senza fare danni altrove.
La tripletta “Eva”, “Sahara” e “Whoever Brings the Night” non riesce a far decollare il disco nella parte centrale (a parte qualche bel passaggio e vocalizzo di "Sahara"), assestandosi su una ampia sufficienza ma nulla più mentre “For The Heart I Once Had”, sebbene molto canonica e se vogliamo banale nel suo incedere, riesce a convincere decisamente grazie ad Anette e ad alle orchestrazioni che, stavolta sì deo gratias, sono la marcia in più di un brano.
Mentre la folkeggiante ma poco ispirata “The Islander” vede duettare Anette e Marco tra tamburi di sottofondo e cornamuse che esaltano lo sbattere delle onde sulla scogliera, “Last of the Wilds” ci accoglie con dei violini che introducono uno dei brani più movimentati, entusiasti e salterecci dell’album che, paradossalmente, è una strumentale di ottima fattura che dal vivo, come introduzione a qualche altra canzone o al concerto stesso, farebbe veramente sfracelli. Brano migliore del disco? Sì, la accendiamo.
Ma di poco, anche perché la cadenzata “7 Days to the Wolves”, va ad illuminare ulteriormente un disco che nel finale riscatta tutte le indecisioni ed i sovraccarichi iniziali e compie anche il miracolo di presentare una voce maschile finalmente degna di questo nome.

Questo lungo viaggio di 75 minuti termina con la malinconica e pianistica “Meadows of Heaven”, una ballad canonica (in cui Anette grazie alle propria abilità cerca di far definitiva presa sull’ascoltatore) che nulla toglie e nulla aggiunge al valore di questo “Dark Passion Play”, un disco decisamente valido pur senza eccellere che non solo ha superato lo scoglio del primo disco senza Tarja ma ne ha superato di gran lunga il valore degli ultimi tempi, data la pochezza e l’insufficienza di album quali “Century Child” e “Once”, tanto pubblicizzati e pompati ma colpiti dalla sindrome di “sotto il vestito (leggi “produzione”) niente”.
Ad oggi ci vengono restituiti, dopo quasi sette lunghi anni, dei Nightwish ancora vivi e capaci di sorprendere, magari a volte ancora impelagati in questa voglia di strafare, ma nettamente in ripresa e vogliosi di ripartire.
E forse, per fare questo, c’era veramente bisogno di un nuovo inizio. Anette probabilmente è stata la carta giusta.
Recensione a cura di Gianluca 'Graz' Grazioli
Dark passion play

Dark Passion Play is the 6th studio album by Finnish symphonic metal band Nightwish, released on 26 September, 2007 in Finland, 28 September in Europe and 2 October 2007 in the United States.

Carino

Come album non è niente male, scontato dire che era meglio Tarja.

Addio Nightwish

I Nightwish senza Tarja non sono più gli stessi! Non c'è nient'altro da dire! Sembrano un gruppo qualsiasi...hanno perso tutto il loro fascino...inoltre trovo patetica la scelta di Annette che assomiglia fisicamente a Tarja,scelta puramente commerciale! Detto questo, l'album non è male...è ascoltabile...ma ribadisco non ha lo stesso phatos degli album precedenti.

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 08 lug 2009 alle 13:14

io li ho visti live a pordenone a marzo... un concerto enorme c era tutta la provincia in sobbuglio il palasport era stra pieno e il concerto è stato fantastico... annette è piu azzeccata per il pop ma dal vivo è molto brava.

Inserito il 15 apr 2009 alle 20:53

stupenda!direi ke e un buon inzio x new nightwish old nightwish R.I.P

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