Il cantautore polistrumentista autodidatta che piace molto anche al pubblico new-prog (incide per la label degli IQ e ha aperto per i live di Kino, Pendragon, Marillion) torna a due anni dal precedente "Part 1" con 8 canzoni e 3 strumentali scritte nel periodo 1993-2005, affiancato ancora una volta da ospiti in qualità e quantità tali da non poter figurare tutti nello sticker promozionale, al punto che dopo Tony Levin, Nick D'virgilio, Geoff Downes, Pete Trewavas, Gavin Harrison, con la scritta "and more..." si relegano all'interno del booklet nei rispettivi brani le comparsate di Gary Chandler (Jadis), Dave Meros (un altro Spock's Beard), John Mitchell (Arena, Kino), Martin Orford (IQ).
Il pop rock sofisticato ed avvolgente talora venato da atmosfere tristi e malinconiche non si discosta molto da quello sentito in "Part 1", canzoni dalla struttura semplice e lineare cantate con una voce che incrocia Peter Gabriel e lo Steve Hogarth più intenso, ricchi arrangiamenti orchestrali di stampo beatlesiano ("The white dove song" e "Sandheads", dove intervengono anche organi Hammond, Moog, sezioni di fiati, viola, violini), raffinatezze acustiche accompagnate da mandolini, sottili tastiere e controcanto femminile ("Great ordeal", brano in cui Thorne suona tutto da solo), felici ispirazioni dai Marillion più oscuri ed atmosferici come la cupa "Hounded" (le "barbe" Meros e D'Virgilio imprimono al brano uno strepitoso ritmo blando e quasi lisergico), effetti elettronici, vocali, sequencers e bongos che rimandano al Peter Gabriel di "Us" nel lento atmospheric-space melodic rock di "Roundabout", dolci, tristi ed energiche melodie accompagnate dal piano di Geoff Downes con intermezzo acustico e finale con duetto tra chitarra acustica e quella elettrica di John Mitchell ("Crossfire", brano che Thorne dedica a suo padre, quello che più regge dopo molti ascolti assieme a "Sandheads"), rock dal sapore metropolitano scandito dallo stick di Tony Levin e dagli effetti elettronici nonchè dalla batteria di Gavin Harrison (Porcupine Tree) in "Wayward", il tutto accompagnato da testi focalizzati su problemi sociali come la violenza sui minori, la vita nelle periferie sognando la "brighter side" della city, il ricordo dei caduti in guerra. Delle 3 strumentali, "Toxicana Apocalypso" con il suo ritmo leggero e fluido fa largo uso di tastiere elettroniche alternate all'organo, un basso presentissimo di Levin ed un memorabile lavoro alla batteria di D'Virgilio che raggiunge il suo apice a metà brano con un breve drum solo appoggiato da tastiere in stile IQ, gruppo che ritorna alla mente ascoltando "6am" (un pezzo che sa molto di "Subterranea"), mentre nella breve "Solace" si sprecano gli effetti elettronici mescolati a voci confuse.
Consigliato ai fans di Marillion, Jadis, gli ultimi Spock's Beard e a chi vuole concedersi una pausa riflessiva e meno complicata da cambi di tempo o brani lunghi senza troppo sconfinare fuori dal territorio prog.
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