Terzo lavoro realizzato completamente in “proprio” per Lelio Padovani, uno dei talenti chitarristici più cristallini che mi sia capitato di ascoltare nei tempi recenti.
Tre dischi strumentali in cui la crescita dell’artista è stata assolutamente significativa: pur partendo da un’ottima base iniziale, il primo passo (“Unknown evolution”, 2002), risentiva ancora in maniera leggermente troppo evidente dei suoi ascendenti “formativi”, poi splendidamente metabolizzati nel successivo “The big picture” (2005), un albo maggiormente originale, ma forse dall’ascolto lievemente meno “facile” del suo predecessore e che aveva bisogno di più tempo per rivelare appieno la sua forza espressiva e la sua qualità complessiva.
Il culmine (finora!) di tale percorso evolutivo arriva con questo “Chasing the muse”, contenente otto composizioni estrose e molto focalizzate, dove tutto è suonato in funzione della melodia, ora istantanea, ora più complicata e ricercata, ma sempre presente in un approccio lontano da una qualunque benché minima forma d’autocompiacimento di tipo specialistico.
Lelio è così riuscito nell’impresa di far coesistere immediatezza, eleganza, inventiva e tecnica strabiliante, un risultato conseguito solo dai grandi dello strumento, tra i quali vanno menzionati i dichiarati numi tutelari di Padovani (Johnson, Satriani, Moore), ai quali però mi “arrischio” ad aggiungere pure i nomi di Jeff Beck e Allan Holdsworth, due maestri che con il nostro condividono una non comune versatilità e un’illuminata finezza armonica.
Ecco che “Chasing the muse”, “concettualmente” e artisticamente più vicino alla personalità di “The big picture”, assorbe altresì un pizzico della superiore “spontaneità” di “Unknown evolution” e realizza un concentrato di musica che oserei definire “globale”, non indirizzata, cioè, ad un tipo di pubblico dotato di una particolare “erudizione”, se non quella che gli consente di apprezzare le cose belle e non banali.
L’appeal melodico, dunque, investe tutte le spettacolari evoluzioni musicali del Cd, rendendolo sorprendentemente fruibile a dispetto di trame tutto meno che scontate, le quali danno origine ad esperienze contemplative d’enorme suggestione (“Invitation”, “Daydream”, “Rainy”, “New day”), momenti maggiormente dinamici e costantemente volubili (la title-track), situazioni in cui l’impatto aumenta il suo coefficiente (“Light and shadow”, la favolosa “Better days”) o addirittura circostanze “singolarmente” sperimentali (lo sfumato flirt con la new-wave di “Ballet”), il tutto dominato dalla raffinatezza, dall’intelligenza e dalla malleabilità della chitarra di Padovani, un “pennello” che con i suoi tratti sapienti mette in comunicazione la sensibilità di chi li ha concepiti e trasformati in note e l’anima di tutti quelli che vorranno concedergli una possibilità di contatto.
Se non ricordo male qualcuno una volta definì assai efficacemente il guitar-playing di Satriani come un “suddito del Buon Gusto” … con “Chasing the muse” Lelio ratifica in maniera incontrovertibile l’ingresso di un nuovo “vassallo” in questo fantastico Regno.
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