E' il 1994, ed i
Dream Theater hanno appena terminato il tour di supporto a
"Images and Words", disco che li ha catapultati di diritto nell'Olimpo della bands di primissimo piano nella scena prog-metal. L'attesa è dunque spasmodica, per sapere quale direzione prenderà l'imprevedibile carrozzone di Portnoy e soci. Due anni di attesa, spesi a suonare in giro per il mondo, e a mettere insieme le idee sviluppate data dopo data, giorno dopo giorno, ed alla fine eccolo lì, il nuovo, sorprendente, maestoso album dei Dream Theater.
"Awake" fa esattamente quello che tutti speravano, ma che nessuno osava chiedere: spiazza completamente l'ascoltatore, non rinnega un passato talmente mastodontico da poter schiacciare chiunque, ma definisce con precisione chirurgica la personalità di una band che si consacra definitivamente e che dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, di non dipendere da un trademark, e di saper intendere il concetto di
progessive nella maniera perfetta, ossia come continua evoluzione, ricerca, sperimentazione sonora e concettuale.
Se paragonato al precedente, "Awake" suona come la sua copertina: oscuro, misterioso, complesso e multisfaccettato, sebbene con un cuore melodico e colorato (come nello specchio che campeggia al centro della cover). Mai una copertina è stata più esplicativa di un album, ed è proprio nei
"nuggets" sparsi qua e là per la copertina che si trovano i titoli ed i concetti fondanti delle songs di questo nuovo capolavoro.
"6:00" apre le danze in punta di bacchette, con un ritmo morbosamente accattivante. Da subito ci si accorge di come l'intenzione sia quella di mostrare gli attributi, e tutto, dai suoni all'interpretazione di James LaBrie, denotano proprio questo concetto, che per chi scrive è alla base dell'intero lavoro:
attitude, come dicono gli inglesi, ossia carattere, personalità, voglia di autoaffermarsi e di staccarsi dal mare magnum di emuli di Rush e soci. La stessa
"Caught in a Web" sfodera, per la prima volta, chitarre a 7 corde e riffing su toni gravi, sostenuto da una sezione ritmica da capogiro.
"Innocence faded" sembra un pò richiamare il recente passato dei Dream Theater, appoggiandosi più di altri pezzi sulla melodia del cantanto e sullo sviluppo armonico delle partiture, pur lasciando l'ovvio spazio a Petrucci e Moore per "sviolinare alla loro maniera".
Il piatto forte, però, deve ancora arrivare. Infatti, alle tracce 4, 5 e 6 i Dream Theater piazzano una trilogia di brani, nota col nome
"A mind beside itself": un viaggio nella difficoltà di comunicare dell'essere umano, nella fatica ad essere animali sociali in un mondo sempre più arido, sterile e povero di comprensione e di sentimenti. Il primo dei tre capolavori in musica è
"Erotomania", brano strumentale tra i più belli di sempre dei 5 di Hell's Kitchen, molto influenzato dalla musica classica, soprattutto per le parti chitarristiche, che spesso e volentieri seguono andamenti ascendenti/discendenti utilizzando scale care a Paganini o Vivaldi. Il pathos inizia a montare, per poi sfociare in
"Voices", brano struggente e drammatico come pochi, in cui James LaBrie sembra urlare al mondo il difficile mestiere di essere uomini in un mondo di numeri. La chiusura viene affidata a
"The Silent Man", brano interamente acustico (il primo nella discografia dei Dream Theater), e ricordo ancora chiaramente come molti giornali, anche nostrani, attaccarono la band, accusandola di essersi ammorbidita e di aver perso la matrice metal che contraddistingueva il proprio sound. Beh, niente di più sbagliato: la track successiva,
"The Mirror", è uno dei pezzi più pesanti e "riffosi" della band: il brano, sviluppato da "Puppies on Acid",
divertissement strumentale già eseguito live nel precedente tour, getta le basi di quella che, di lì a pochi anni sarà la
"AA saga", una serie di songs sui 12 gradi attraversati dagli Alcolisti Anonimi per arrivare a disintossicarsi dalla dipendenza. Ed ovviamente, i brano è scritto da Mike Portnoy, che in maniera autobiografica racconterà della difficoltà di guardarsi allo specchio ed accettarsi con i propri difetti, con i propri limiti, con le proprie paure.
Il senso di oscurità e di malessere, come è evidente, permea completamente le tracce di questo nuovo disco, e la successiva
"Lie" non farà che confermare quanto detto finora: riffoni pesantissimi, testi personali carichi di rabbia, e sezioni strumentali sempre più da paura!
Il mood si rarefà appena alla traccia 9, dove
"Lifting Shadows off a Dream" ci racconta, come solo John Myung sa fare, la difficile relazione tra un uomo e una donna. Ma le sorprese, cari amici, non sono ancora finite.
"Scarred" è forse uno dei brani più carichi di influenze diverse, dal jazz alla fusion al metal più puro, all'interno del quale le nuances si confondono, si accavallano, prendono un lungo respiro per poi tuffarsi in apnee lunghe e vorticose. Da brividi.
La chiusura di questo meraviglioso disco è affidata a
"Space Dye Vest", da molti definito "il canto del cigno" di Kevin Moore, che con questo pezzo si accomiata dalla band e dai suoi fans. Il brano è una triste melodia pianistica, appena accompagnata nella parte finale dal resto della band, la quale peraltro si rifiuterà, di lì ad oggi, di eseguirla dal vivo, considerandola, com'è giusto che sia, più un brano di Kevin Moore eseguito dai DT che non un vero e proprio pezzo del repertorio. Una song che, ancora una volta, saluta l'ascoltatore pennellando l'atmosfera di nebbie umide, tristi e malinconiche, quasi a voler trasmettere il senso del dolore, della perdita, della separazione.
"Awake", insomma, è un disco che dichiara al mondo la definitiva maturità artistica e compositiva dei Dream Theater. Un album oscuro, ispiratissimo e strabiliante in molti dei suoi aspetti. Per chi vi scrive, forse addirittura un pelo superiore al tanto osannato "Images and Words", ma queste, immagino, sono solo speculazioni personali...