Dopo la discutibile parentesi di "Cold Lake", in cui i Celtic Frost si cimentavano in una rivisitazione piuttosto decadente di un certo tipo di hard rock allora assai in voga e che era costata al gruppo stroncature da parte dei fans e dei critici, la band capitanata da Tommy Gabriel Warrior torna a far parlare di sè dopo due anni con questo "Vanity/Nemesis".
Dismesse borchie e face painting, il gruppo si affida ad un look decisamente allineato al trend dell'epoca, e musicalmente riprende il discorso proprio dove era stato interrotto con "Cold Lake": il gap qualitativo tra i due album è tuttavia molto ampio e i Celtic Frost danno l'impressione di aver fatto tesoro degli errori commessi in passato, e soprattutto mostrano di essere riusciti a correggere i difetti che avevano reso il precedente capitolo discografico un vero e proprio buco nell'acqua. Là dove "Cold Lake" non convinceva (leggasi pezzi fiacchi, a tratti ruffiani e poco inspirati), "Vanity/Nemesis" fa centro: il groove è quello giusto, che accoppiato alla vena decadente della band risulta ancor più esaltante, regalando canzoni spesso appoggiate su mid tempos granitici, sul cui tappeto Tomas G. Warrior sciorina una prestazione vocale delle sue, fatta di una voce grezza e roca. Pezzi come "The Restless Seas", "The Heart Beneath", l'accoppiata "Vanity"-"Nemesis", "Phallic Tantrum" o ""Wine In My Hand (Third From The Sun)" ammaliano l'ascoltatore, lo seducono e non lo lasciano sfuggire, soprattutto per merito di linee melodiche mai banali ma allo stesso tempo orecchiabili ed immediate. Il resto lo fanno l'immensa classe del gruppo, che, come ormai consuetudine dai tempi di "Into The Pandemonium", utlizza in più episodi una soave voce femminile, presente anche nei cori, a creare un affascinante incrocio con il timbro sporco di Warrior e che dona all'album una certa reminiscenza gotica (nulla a che vedere con vapirelli assortiti).
Dopo lo scivolone di "Cold Lake" i Celtic Frost si rialzano più forti di prima, ancora più consapevoli dei propri mezzi, e regalano ai fans un album in grado di cancellare tutti i dissapori dovuti all'unico passo falso nella discografia degli svizzeri. Certo, "Into the Pandemonium" rimane lassù in alto nell'iperuranio, intoccabile nella sua perfezione, ma "Vanity/Nemesis" raggiunge livelli ottimi, e rappresenta l'ennesima incarnazione di un gruppo che non si è mai stancato di sperimentare e osare.
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