"
Karma" è stato per i
Kamelot quello che "Master of Puppets" è stato per i Metallica: il disco della definitiva consacrazione, della conferma assoluta, dello status di "grandi", pur con le dovute proporzioni. Uno di quegli album in cui, per caso, bravura o fato, ti riesce tutto, dalla prima all'ultima nota.
L'opener "
Regalis Apertura" introduce un tema epico, e l'atmosfera già si fodera di velluti rossi, come nel miglior stile Kamelot, per poi esplodere in quella "
Forever" che, ormai, è diventata un classico nei live act della band: power symphonic come da manuale, un brano che è già storia.
Ma tutto l'album è costellato di perle: "
Wings of Despair", "
The Light I Shine on You", "
Across the Highlands" sanno spingere sull'acceleratore, con una compattezza di suoni ed idee davvero strabiliante: la penna e la chitarra di Thomas Youngblood vanno a nozze con una sezione ritmica chirurgica e potente, e con la voce sovrana di un
Roy Khan mai così espressivo, cristallino, teatrale nella sua interpretazione. C'è spazio per una lacrimuccia nella delicata ed acustica "
Don't you Cry", scritta da Youngblood dopo la recente scomparsa del padre.... Ma c'è ancora tempo per esaltarsi: la title-track sfiora il capolavoro, con un ritornello di quelli che ti si tatuano in testa, ed il trittico finale a titolo "
Elizabeth" rappresenta l'epitome di una band in forma strepitosa: c'è di tutto, dai sussurri di Khan alle sfuriate di Casey Grillo, nel raccontare una storia a metà tra Dorian Gray e Biancaneve...
Dischi come questi sono manna dal cielo; per chi non avesse ancora avuto l'opportunità, CORRETE ad acquistarlo e fatelo vostro: "
Karma" è stato, ed è ancora, una gemma preziosa, da ascoltare e godere all'infinito.