Appena ricevuto questo cd mi sono precipitato alla ricerca di una vecchia musicassetta che sapevo di aver messo da qualche parte. Dopo aver rovistato in raccoglitori ormai quasi dimenticati, tra un polveroso The Rods d’annata ed un vetusto Reggie Knighton Band ho trovato l’oggetto in questione. Attraverso la patina depositata in decenni ho letto:”Rose Tattoo – Assault & Battery (1981)”. Istantaneamente il mio pensiero è corso all’anno nel quale l’avevo registrata: ero fresco di diploma, in procinto di partire per il servizio militare e l’Italia non aveva ancora vinto l’ultimo dei suoi tre mondiali di calcio. Ricordo che pur essendo già totalmente immerso nelle trame virulente del thrash metal di quel fenomenale periodo, il concentrato di rock’n’roll stradaiolo della band australiana, semplice, genuino, chiaramente ispirato agli AC/DC, i loro vistosi tatuaggi da bucanieri all’epoca non ancora moda di massa, forse anche la loro non consueta terra di provenienza, mi erano piaciuti parecchio ed il nastro magnetico era passato numerose volte nel registratore. Una più che onesta rock-band, chitarre ruvide ed attitudine alcolica, canzoni grintose guidate da un piccolo singer pelato emulo di Bon Scott, certamente validi ma non abbastanza da tirare il colpo di qualità, quello che in un attimo ti estrae dal gruppone anonimo dei mediocri e ti depone nell’olimpo dei migliori. Infatti la loro corsa si fermò dopo un paio d’anni soltanto da quel disco che resta il loro episodio più significativo. Oggi che il mio diploma, il servizio di leva, il mondiale di Spagna, sono lontani ricordi ormai sbiaditi che cosa può portare di nuovo, di fresco, di eccitante, l’uscita di “Pain”? Nulla, purtroppo. Anderson e compagni, ricoperti di tatuaggi ed invecchiati male, restano la stessa dignitosa formazione di grezzo rock’n’roll ma con vent’anni di vita in più sulle spalle. I loro mid-tempo quadrati e la pungente slide guitar che scalda i brani ambiscono a rinverdire il passato ma sull’album grava una sensazione di stanchezza, odore di polvere, scricchiolii di ingranaggi arrugginiti e frettolosamente oliati da poco. Tanta positiva voglia di suonare, testimoniata dal numero forse esagerato di canzoni, qualche buona botta di energia proposta con mestiere (“Black magic”,”No mercy”,”Satan’s eyes”), una manciata di inni alla vita on the road che questa gente ha sperimentato sulla propria pelle (“Kisses and hugs”,”Union man”,”Hard rockin’man”) ma la potente ugola di Angry non riesce più a volare e la scarsa versatilità del gruppo appiattisce le tracce in una routine scontata ed un po’ monotona. Sarò troppo severo ma l’ondata di rientri sulle scene basata su canuti guerrieri del rock comincia a mettermi malinconia, anche perché si tratta quasi sempre di musicisti che non hanno colto il momento giusto in gioventù ed ora riemergono in cerca di improponibili rivalse sul destino. Ai Rose Tattoo restano la dignità, il rispetto che si tributa a coloro che hanno sempre fatto onestamente il proprio mestiere, ma le musicassette sono diventati reperti archeologici e quei bei tempi non torneranno più.
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