Reduci da uno straordinario "poker", che ben pochi gruppi possono vantare all'interno della propria discografia, i
Manowar arrivano al quinto appuntamento da studio con tutti i favori del pronostico. Una grande etichetta, nessun limite al budget produttivo ed un nome che è diventato sinonimo di heavy metal senza compromessi. La "barbarica invasione", perpetrata dai vari "
Battle Hymns", "
Into Glory Ride", "
Hail To England" e "
Sign Of The Hammer", garantisce una ferrea reputazione tra i fans del genere, pronti ad accogliere il nuovo Manowar con ansia e trepidazione.
In effetti, dopo la pubblicazione dei suddetti quattro album tra il 1982 ed il 1984, occorre attendere addirittura il 1987 per vedere i "guerrieri" troneggiare nuovamente nelle vetrine dei record stores. In realtà "
Fighting The World", la cui copertina fumettistica in stile "
Destroyer" (
Kiss) vede i quattro membri del gruppo ergersi in pose statuarie, non suscita solamente entusiasti consensi. Anzi, una parte della "tifoseria" dei Manowar, sicuramente quella più oltranzista, muove aperte accuse di commercializzazione verso il 33 giri. Il discorso potrebbe in fondo anche calzare, soprattutto perché si è deciso di dividere l'album in due tronconi ben distinti.
Il lato A, con quell'approccio hard rock'n'roll style, sicuramente più affine alla visione del chitarrista
Ross The Boss, potrebbe in effetti trarre in inganno più di una persona, mettendo altresì in secondo piano un lato B immolato completamente al lato più epico del quartetto americano. Ma andiamo con ordine: la title-track si apre sul tambureggiare tipico di
Scott Columbus, sul quale si innesca ben presto un riff a presa rapida e linee vocali di facile assimilazione. Il "gioco" si ripete con "
Blow Your Speakers" che, testo a parte (una feroce critica ad MTV), avvicina "pericolosamente" la band in zona class metal. La differenza viene delineata più che altro da un
Eric Adams in versione "uragano", grazie al quale diventa difficile associare il pezzo al filone
Dokken e compagnia sgargiante. Tocca quindi a "
Carry On", probabilmente l'episodio più "easy" mai composto dai Manowar: eppure il pezzo funziona alla stragrande, un hard'n'roll frastornante e sublimato da un chorus che ogni metalhead si sarà trovato, almeno una volta nella vita, ad urlare a squarciagola. Una versione dei
Queen "playing on ten"? Ci avviciniamo molto.
Chiude la prima facciata il caterpillar "
Violence And Bloodshed" che, semplicità ritmica a parte, non può certo essere additata di velleità da classifica. Esaurita la fiamma dell'epidermicità più selvaggia, inizia poi tutta un'altra storia. "
Defender", rifacimento in bello stile del brano contenente la visionaria narrazione di
Orson Welles, che aveva già descritto rovine fumanti dopo l'apocalisse di "
Dark Avenger" (da "Battle Hymns"), accende la miccia dell'eroismo "sword & sorcery". L'adattamento punta ovviamente ad una maggiore definizione del suono, eppure i Manowar riescono comunque a non perdere per strada l'originario "animus pugnandi" dell'originale. A parte gli interludi "
Drums Of Doom" e "
Master Of Revenge" (coi suoi vagiti da oltretomba), le altre due canzoni che chiudono l'album, "
Holy War" e "
Black Wind, Fire And Steel", toccano vette di pesantezza e velocità assai importanti.
A dimostrazione che "Fighting The World", nonostante le malelingue dell'epoca (e di oggi), non è affatto "solo" mainstream metal. Non occorreranno altri tre anni prima di poter riascoltare musica inedita da parte della band, dato che nel 1988 verrà dato alle stampe uno degli album simbolo dell'heavy sound di ogni tempo. Quel "
Kings Of Metal" che metterà sostanzialmente tutti d'accordo, grazie anche ad un migliore bilanciamento della scaletta. Nonostante ciò, "Fighting The World" resta tuttora l'eccellente "beginner" della seconda fase di carriera dei Manowar, ed andrebbe definitivamente inquadrato con tutti gli onori della cronaca storica. Almeno da "chi c'era" e respirava "quell'aria" a pieni polmoni: non certamente da chi si getta nelle mani dell'asettica prosopopea firmata "wikifake" come panacea di tutte le ignoranze.