I tedeschi
Kreator, a distanza di un anno dall'incendiario esordio di "Endless Pain", nel 1986 si accingevano a dare alle stampe, sempre tramite la casa discografica
Noise Records, l'album che li avrebbe consacrati definitivamente nell'olimpo del Metallo: "
Pleasure to Kill".
Squadra che vince non si cambia, ed infatti la line-up della band è la stessa del primo full-length:
Mille Petrozza chitarra/voce,
Rob Fioretti al basso e
Jürgen "Ventor "Reil batteria/voce. Questo è l'ultimo disco in cui la formazione di Essen ha due cantanti, dal seguente "Terrible Certainty" (salvo nella traccia "As the World Burns") sarà Mille a farsi interamente carico del microfono; scelta a mio modo di vedere più che condivisibile, dato che oltre alla brutalità – che di certo non mancava al buon
Ventor – il chitarrista appariva sicuramente più versatile ed originale, sfoggiando una sorta di scream che per l'epoca era tutto fuorché scontato, mentre il drummer rimaneva fin troppo ancorato agli stilemi del passato, ricalcando un po' le orme di Cronos e un po' quelle di Tom Araya.
Il secondo lavoro in studio dei giovani thrasher lo si può ritenere fondamentale per tutta quella che è stata l'evoluzione del Metal estremo in senso lato.
Il 1986 è un anno magico per tutto il Thrash e per i movimenti a esso limitrofi. È l'anno di "Reign in Blood", di "Master of Puppets", "Peace Sells... But Who's Buying?", "Darkness Descends", "Beyond The Gates", "The Force", "Morbid Visions" e molti altri...
Se in "Endless Pain" già avevano spinto in avanti con ferocia le coordinate del genere verso orizzonti ancora sconosciuti, con "
Pleasure to Kill" riescono ad andare ancora un passo oltre, presentando un sound più veloce e aggressivo ma al contempo dotato di maggiore consapevolezza, sia per quanto riguarda la capacità di songwriting che per la tecnica esecutiva adottata.
L'eccessiva caoticità del loro esordio viene qui mitigata e tutte le dinamiche assumono fattezze più nitide, organizzate e strutturate, senza mai perdere l'attitudine spontanea che ha da sempre contraddistinto il gruppo.
Dal magma sonoro delle serrate strutture ritmiche, dense di sorprendenti cambi di tempo al fulmicotone, iniziano finalmente ad emergere delle lievi trame melodiche che consentono di spazzare via l'alone di eccessiva inintelligibilità che permeava il lavoro passato; lasciando così prendere campo a quel piglio lievemente catchy che ne facilita la memorizzazione e la "cantabilità". Questo processo è aiutato dalle linee vocali, che grazie ai refrain semplici e immediati – si pensi a quello della splendida title-track – si stampano immediatamente nella mente dell'ascoltatore.
L’elemento canoro, come già accennato, è spartito tra
Petrozza e
Jürgen, anche se già da questa seconda pubblicazione inizia ad essere quasi interamente materiale del primo. Il batterista nello specifico canta solamente in "
Death Is Your Saviour", "
Riot of Violence" e "
Command of the Blade".
Per quanto concerne le tematiche queste non si discostano molto da quelle di “Endless Pain”, la parola d’ordine è sempre quella dell’odio e del nichilismo più puro. Si nota solo uno spostamento del fulcro di tale atteggiamento su concetti diversi dal satanismo (che è ancora presente), a favore di una furia omicida che ammanta tutti i testi, i quali hanno spesso una forte impronta Horror (il tema degli zombies è ripetuto più volte), e in alcuni casi apocalittica (vedi “
The Pestilence”).
Il merito della miglior riuscita del prodotto in parte lo si può attribuire al lavoro di produzione, svolto da
Harris Johns anziché Horst Müller, che se in "Endless Pain" era piuttosto scadente qui risulta decisamente migliorato. I suoni seppur grezzi sono più nitidi e meno confusi, cosa che giova molto all'economia del disco, soprattutto visto e considerato che essendo ancor più veloce del suo predecessore, senza una produzione accettabile non sarebbe stato possibile goderne a pieno. Tutti gli strumenti sono sufficientemente in evidenza, persino il basso di
Rob Fioretti, il quale è artefice di una prova degna di nota. Certo esistono produzioni superiori a questa, e ce ne erano anche nell'86, ma vista e considerata la media del genere rispetto a gli anni a cui facciamo riferimento, la possiamo ritenere tutto sommato valida.
I tre musicisti sono artefici di una prova solida, all'insegna della brutalità senza compromessi; i riff di
Petrozza sono incisivi ed essenziali; destinati a diventare dei veri e propri modelli per molte generazioni future.
La prestazione dietro le pelli di
Ventor è enorme: veloce, potente e basata su tempi folli, che all’epoca risultavano difficilmente comprensibili. Tant'è che come riferito in varie interviste da alcuni noti musicisti, che hanno vissuto il tempo dei
Kreator in età giovanile sotto le vesti di fan: <<
Era difficile capire cosa stesse facendo esattamente>>. E da varie altre affermazioni si può evincere come il suo stile, seppur con molteplici imperfezioni, fosse molto avanti rispetto ad altri suoi colleghi.
Adesso non resta che inserire nello stereo questo splendido CD – o vinile per chi ne ha la possibilità – e lasciarsi trascinare, dopo l'ingannevole rassicurazione della melodia introduttiva di "
Choir of the Damned", dall'irresistibile Thrash di "
Ripping Corpse" e dalle mazzate di "
Death Is Your Saviour", fino ad arrestarsi di fronte all'iconica "
Pleasure to Kill". Un brano che ha al suo interno alcune delle dinamiche più importanti di tutto il metal estremo: riff e power chord accompagnati dalla forsennata batteria di
Ventor, che nel tenere il tempo si inoltra nel sentiero di una sorta di proto-blast beat, il tutto culminante con un mini break atto a scandire giusto il titolo della song dall'ugola velenosa di
Mille. Già senza fiato alla quarta traccia si riparte con l'ottima "
Riot of Violence", che ci traghetta nella seconda metà dell'album, la quale a onor del vero ha un lieve calo qualitativo nella pur discreta "
The Pestilence" – molto interessante per le linee di basso che donano un ottimo groove al prodotto –, e l'anonima "
Carrion". Ma niente di che, una piccola debacle... a risollevare le corna al cielo ci pensa la forza di "
Command of the Blade", vero e proprio manifesto di come andrebbe suonato questo genere; e il colpo di scure conclusivo di "
Under the Guillotine".
Indubbiamente i
Kreator dell'86 risultano nettamente superiori ai connazionali Destruction, i quali circa tre mesi dopo pubblicheranno il loro secondo lavoro, il buon "Eternal Devastation"; e ai Sodom, che ancora ai loro albori – poco prima del gruppo di Schirmer – esordiranno con il rudimentale "Obsessed by Cruelty".
"
Pleasure to Kill" era tra gli album più estremi e al tempo stesso, seppur nella sua tecnica ancora un po’ rozza, meglio strutturati – e a mio parere la grandezza di un disco non sta solo nell'essere veloce o quant'altro, ma nel sound generale e nella sua <<
struttura>> – che fosse stato concepito fino ad allora. Forse l'unico in ambito Thrash Metal, tra quelli che possedevano un'attitudine più seminale, in grado di giocarsela con "Reign in Blood" senza uscirne con le ossa rotte.
Un disco di culto che non può mancare nella collezione di ogni appassionato del genere.
Recensione a cura di DiX88