I MantraM fanno crossover (o alternative, se preferite!) e sono piuttosto originali.
Questa di per sé è già un’ottima notizia.
Ai MantraM, infatti, verosimilmente piacciono i System Of A Down, i Faith No More (e quindi dimostrano grande gusto anche nelle scelte ispirative!) e gli Incubus, e tuttavia non si sono limitati ad “impossessarsi” del loro tipico modus operandi e restituircelo “quasi” intatto … lo hanno assorbito, metabolizzato, filtrato attraverso il setaccio della propria personalità, strapazzato e trasfigurato, ottenendo un suono che, con la forza e la taumaturgica schizofrenia dei primi due e l’istintività melodica dei terzi, conquista senza fastidiosi ed eccedenti déjà-vu.
Poi, “Silent steps outside” è il loro debutto autoprodotto sulla lunga distanza, ed in esso è rilevabile qualche traccia di una maturazione non ancora completamente compiuta, soprattutto da un punto di vista compositivo, ma quando “azzeccano” la canzone (e come vedremo capita abbastanza spesso), cribbio, se sono efficaci, i nostri quattro capitolini.
Prendete “The torture”, “Spitting blood” (del quale esiste, tra l’altro, un gradevole clip, facilmente visionabile tramite il più famoso sito dedicato al video sharing), “Stubborn society”, “A day like the others”, “Wintershadows”, “Irrational anger”, “Out!” e “Broken keys”, conferitegli un po’ più di verve e potenza sonora, magari potendo contare su di un budget tale da garantire l’apporto di un team produttivo di riconosciuta capacità specifica (buono, comunque, il lavoro svolto da Stefano Toni e Adriano Fabio in fase di produzione e mixaggio), dategli un’adeguata visibilità ed otterrete degli ordigni pronti a deflagrare nei sensi degli appassionati del genere, che una volta sottoposti agli effetti di tale violento rilascio di energia, non potranno che assuefarsi istantaneamente alle sue travolgenti spire emozionali.
Come si può facilmente evincere dal corposo elenco appena citato, parliamo di un disco che per più del 50% appare parecchio convincente, ma non vorrei che si pensasse che la porzione rimanente sia particolarmente deficitaria; semplicemente mi sembra che la proposta altrove sia leggermente meno focalizzata e accuratamente sviluppata, vuoi per soluzioni musicali a minore efficacia (“Help me”, “God = fate”, “My damnation”, “Game over”), vuoi per una volubilità ancora un pochino da affinare (“Kill me”).
“Silent steps outside” è un lavoro molto interessante, realizzato da musicisti brillanti nella tecnica esecutiva e nelle sinapsi cerebrali, e con minimi “ritocchi” la loro musica potrà veramente fare il “botto”.
Attendiamo di sentire il colpo!
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