"Hello, we are Nasum from Sweden". E subito si parte a razzo con "Corrosion". E non poteva non cominciare in questo modo il live album postumo dei Nasum pubblicato dalla Relapse, mettendo a nudo quella che è sempre stata l'attitudine di questa band unica ed irripetibile che troppo presto ci ha lasciato: attitudine fottutamente grindcore ed in your face, senza fronzoli, come la musica stessa del gruppo svedese che ha saputo rivoluzionare e traghettare il sacro verbo del grind verso i lidi del ventunesimo secolo.
Questo "Doombringer" altro non è che la registrazione di un concerto tenutosi in Giappone nel 2004, ancora prima dell'uscita del capolavoro "Shift", e propone una setlist incentrata quindi su "Inhale/Exhale", "Human 2.0" e "Helvete". Su tutte le canzoni spiccano sicuramente l'opener "Corrosion", il brano che da il titolo al live "Doombringer", "Relics", "Inhale/Exhale" e "I Hate People", tutte eseguite con una foga esecutiva che dal vivo non snatura affatto la carica bestiale e selvaggia che i brani hanno su disco, e sulle quali i Nasum danno sfoggia della loro enorme classe e tecnica strumentale (alla faccia di chi dice che il grind è "musica" per chi non sa suonare!), non sbagliando di una virgola nonostante le velocità di esecuzione elevatissime, i blast beats che scorrono copiosi ed implacabili nel corso di "Doombringer", la successione schizzata e repentina di riff di chitarra, brandelli di carne strappati violentemente e dati in pasto ad un pubblico che si sente poco, ma quando c'è dimostra di essere molto ricettivo e partecipe. I suoni sono decisamente ottimi, il connubio grindcore-dimensione live è sempre problematico da gestire ed il rischio è quello di creare un marasma sonoro in cui risulta difficile se non impossibile seguire i pezzi; ma su "Doombringer" tutto è pesato alla perfezione, curato attentamente ed il risultato è dei migliori, con dei suoni che partecipano attivamente a sottolineare la potenza del gruppo dal vivo. Unico rammarico è la quasi totale assenza del pubblico, certo caloroso, ma la cui presenza si scorge solamente tra un pezzo e l'altro. Ma d'altronde non si può avere tutto dalla vita, ed il risultato è comunque ottimo quindi guai a lamentarsi!
Riassumendo, questo "Doombringer" è un giusto tributo ai Nasum, nonchè un prezioso documento per comprendere il potenziale distruttivo della band dal vivo, esibizioni fatte di sudore, passione, violenza e attitudine. E quando "Den Svarta Fanan" volge al termine la tristezza prende il sopravvento: tristezza per la chiara consapevolezza di aver perso prematuramente uno dei gruppi estremi più importanti e seminali degli anni '90 che tanto hanno dato e chissà quanto avrebbero potuto dare nel futuro. E non ha importanza che i membri rimasti continuino la propria avventura in altri progetti (Coldworker in primis), i Nasum possedevano un'alchimia che rimarrà impossibile eguagliare.
R.I.P. Mieszko.
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