Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2007
Durata:39 min.

Tracklist

  1. TOKYO
  2. DREAMIN’ BEVERLY HILLS
  3. SOUTHERN LOVE
  4. THROUGH A COLD AND SNOWLY NIGHT
  5. SUGAR ON YOUR LIPS
  6. SUMMER THRILL
  7. MIDNIGHT HERO
  8. GANG IN ACTION
  9. TIKI-BAR

Line up

  • Mic Martini: vocals
  • Ken Lance: guitar
  • Freddie Blade: basso
  • Frank Diamond: drums

Voto medio utenti

C’era una volta l’hair metal. C’era e c’è ancora, mi sa tanto, e sembra pure in uno smagliante “stato di conservazione”, ma invece che negli States oggi ha deciso di soggiornare a Maruggio, un piccolo paese della provincia di Taranto, patria di questi ottimi Mad Hornet.
In realtà, per parlare del contenuto di “Hot tarots”, seconda prova autoprodotta del quartetto pugliese (esordio con “Shout from the south” nel 2006), ci si potrebbe affidare anche alla menzione esplicita della categoria class metal, ma quello che più conta, indipendentemente da come lo volete chiamare, è che il risultato finale si manifesta con le sembianze di un’inebriante esperienza sensoriale capace di mescolare melodie accessibili, muscolature heavy e la sfrontatezza abrasiva del glam/street, il tutto condito da un look fatto di spandex, capelli cotonati e magliette traforate, tipico di quell’attitudine tanto amata negli anni ottanta e altrettanto avversata per un lungo periodo successivo.
Insomma, in questi nove brani troverete bagliori di Van Halen, Ratt, Dokken, Slaughter, Bullet Boys e Winger, evocati con la devozione e la competenza di chi nutre un’inequivocabile passione per certe scelte espressive (ed estetiche) di grande popolarità negli eighties e con il gusto e l’acume compositivo di chi ha capito che tentare di replicare “freddamente”, senza un adeguato temperamento, quelle coordinate, equivale a perdere in partenza una scommessa comunque apparentemente piuttosto azzardata.
I Mad Tarot vincono l’intera posta, perché sono tecnicamente assai preparati e perché questa musica evidentemente ce l’hanno scolpita nel codice genetico, un segno talmente profondo da farti dimenticare (se escludiamo un artwork sicuramente perfettibile) di avere a che fare con il Cd di una band in cerca di “emersione” da una realtà geografica non esattamente propizia per il rock ‘n’ roll.
Per di più i nostri appaiono profondamente legati alle loro radici “sudiste”, tanto da arrivare ad auto-definire ironicamente la propria proposta come “TerRock”, dalla fusione delle parole “terrone” e “rock”, eppure Vi assicuro che almeno musicalmente non è possibile evidenziare alcuna traccia di “provincialismo” tra questi solchi digitali.
Una pregevole produzione, un cantante esuberante ed espressivo (a volte può ricordare le movenze interpretative di un David Lee Roth), un chitarrista estroso e mordace ed una sequenza di canzoni traenti e istantaneamente adescanti, fanno di “Hot tarot” un prodotto superiore alla media, in grado di appassionare con la solida e contagiosa “Tokyo”, ammaliare con la maggiore sofisticazione di natura “adulta” di “Dreamin’ Beverly Hills” e scaldare irrimediabilmente gli animi con le pulsioni bluesy della torrida “Southern love”.
Ad un disco con tali riferimenti stilistici non poteva mancare una ballad, magari da sviluppare con trame elettro-acustiche ed eccola arrivare puntuale, ispirata e ben congeniata, sotto le fattezze di “Through a cold and snowly night”, alcuni di minuti prima che “Sugar on your lips” ci ricordi, con il suo feeling “peccaminoso”, che qui si trattano anche questioni un po’ meno “poetiche” e maggiormente “pragmatiche”.
“Summer thrill” riscopre con qualità le peculiarità del glam-rock dei seventies, piacciono le melodie cromate e il gradevole tocco tastieristico di “Midnight hero” (migliorabile, però, nella sua parte corale), cattura senza scampo il riff killer e il funambolico solo di “Gang in action”, mentre il breve divertissement hawaiano “Tiki-bar”, pone il sigillo su di un dischetto che non stupisce (com’è ormai chiaro, credo!) per la sua “audacia” tout court, e tuttavia sorprende e convince per il modo in cui certi suoni vengono omaggiati e decodificati.
Hard-rockers e operatori discografici che rimpiangete la “leggerezza” (spesso solo apparente!) e la vitalità di un momento importante nella parabola della musica rock, ora sapete dove rivolgere il Vostro “sospirante sguardo”.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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