E’ un buon periodo per i gruppi “nuovi” dediti al Rock-FM.
Dopo i Work Of Art (dei quali Vi ha già parlato con dovizia l’esimio collega Franceschini, su queste stesse colonne!), autori di un sontuoso esordio, è ora il turno dei nostrani Myland ad “elettrizzarmi” con questi suoni in una maniera che, escludendo i maestri del genere, latitava ormai da qualche tempo.
Ci ho pensato parecchio, e bisogna probabilmente risalire al debutto dei Diving For Pearls, oppure alle prime mosse discografiche di Signal, Danger Danger, Giant o Drive, She Said (che comunque presentavano nei loro ranghi nomi di una certa “fama”), per trovare una situazione assimilabile al modo in cui i miei sensi hanno accolto il Cd dei milanesi protagonisti di questa disamina.
In realtà, i Myland non sono degli esordienti “assoluti”, ma pur avendo giudicato positivamente l’autoproduzione “The time is over” del 2006 (nonché le passate esperienze individuali dei due mastermind della band Guido Priori e Paolo Morbini), non credevo, in tutta franchezza, che potessero raggiungere così velocemente il livello artistico evidenziato in quest’albo targato Valery Records, capace di una freschezza e di una forza espressiva davvero non troppo distanti da quelle sviluppate dalle “impegnative” citazioni che trovate qualche riga più su.
Riprendendo, invece, il paragone con gli eccellenti “newcomer” scandinavi, bisogna dire che in questo caso il mio entusiasmo è stato addirittura più “prepotente”, forse perché è veramente insolito trovare in Italia “gente” che sappia trattare così bene la materia AOR, una disciplina che dalle nostre parti non ha mai brillato per fortuna e popolarità.
E badate bene, non sono giunto a queste conclusioni con “leggerezza” … visti gli “sconcertanti” esiti conquistati dalle prime “istintive” audizioni e proprio a causa del plausibile rischio d’incorrere in una benevolenza “campanilistica”, mi sono sforzato di sottoporre il dischetto ad una sorta di analisi scientifica, basata su di una “misurazione” concentrata, attenta e scrupolosa nei campi della tecnica, del coefficiente emotivo, del temperamento compositivo e della incisività interpretativa, e tuttavia il risultato è sempre stato lo stesso: un’attrazione irresistibile per “No man’s land”, un raro caso di praticamente perfetta congiunzione astrale tra i pianeti dell’hard melodico e dell’Adult Oriented Rock.
Non è affatto facile coniugare cuore, muscoli e cervello, ma i nostri sembrano aver scoperto il segreto per farlo “rubandolo” ai grandi del settore, allineandosi senza impacci ai loro migliori epigoni mondiali e realizzando un prodotto che li ratifica come scintillanti astri emergenti di questo favoloso universo, in cui sono talmente “enormi”, “rinomati” e “caratterizzanti” i modelli di riferimento, da rendere arduo per chiunque un credibile confronto.
Ebbene, i Myland sono riusciti “nell’impresa”, grazie agli intonatissimi, raffinati e sfavillanti registri vocali di Priori, alle qualità specifiche degli altri musicisti (tra i quali ricordiamo gli ospiti “di riguardo” Tommy Denander e Kee Marcello, ad ulteriore conferma di una valenza assolutamente internazionale) e ancor di più per merito di un songwriting stratosferico, capace di secernere migliaia di sfumature cromatiche e di luci diverse tra loro, così taumaturgiche per l’anima di chi ama queste coordinate musicali.
Parlare di canzoni in questo contesto è quanto mai impegnativo, non mi sentirei di “scartare” neanche un secondo di questi 52,29 minuti di sollazzo, per cui mi limiterò con notevole “sofferenza” ad estrapolare alcune gemme a mio modo di vedere leggermente più scintillanti in mezzo ad uno scrigno affollato da inestimabili gioielli: l’opener “Anytime”, un numero d’incredibile suggestione, “Heat of emotion”, destinata a diventare, almeno in un mondo “ideale”, che premia il talento e non altre cose, un sicuro hit, “Voices”, dall’avvincente costruzione armonica affine ai Toto e poi ancora il contagio incoercibile di “One step closer”, per finire con “Running in the night” e “Prisoner of love”, ideale equilibrio tra impatto sonoro, estro e fenomenale vocazione melodica.
Dopo gli Elektradrive (tra l’altro, a quanto sembra, quasi pronti al rientro!), unanimemente riconosciuti come i più autorevoli rappresentanti dell’italian way of melodic rock, e pochissimi altri (personalmente, avrei puntato molto anche sui Bad Ambition, di cui viceversa ho perso le tracce … ragazzi, se ci siete battete un colpo!), i Myland hanno dimostrato inequivocabilmente che questa musica non è appannaggio esclusivo di yankee e nord-europei … ora sta a Voi sostenerli come meritano, perché, lo ripeto, “No man’s land” è un disco superbo che deve essere acquistato (attenzione all’uso del verbo … a buon intenditor, poche parole!) senza indugi.