Io ricordo Gene Hoglan principalmente per i suoi esordi con i Dark Angel e quel tornado che fu “Darkness Descends”, i lettori più giovani lo conosceranno come membro dei devastanti Strapping Young Lad, altri ancora esalteranno le sue prestazioni con i fondamentali Testament e Death. Comunque lo si veda resta il fatto che questo personaggio è uno dei più quotati e stimati batteristi metal dell’intera scena, una popolarissima icona frequentatore abituale delle classifiche di merito delle varie riviste specializzate. Partendo da questa considerazione è evidente che la presenza del “mostro sacro” Hoglan sia forse il motivo principale dell’interesse nato intorno a questi “The Almighty Punchdrunk”, che il drummer vide esibirsi in un locale ed entusiasta della prestazione promise loro che prima o poi avrebbero lavorato insieme. Il momento è giunto e coincide con il secondo album della band (il primo è stato “More than metal”) che senza la carismatica figura dietro le pelli sarebbe presumibilmente scivolato via senza tanto clamore. “Music for them asses” è una saetta ultrabrutale e furiosa, che alterna ed intreccia alcuni classici momenti death (“Rotten”,”Fouled out”) ad ustionanti mitragliate grind (“Tsm I&II”) ed occhieggia in modo massiccio al massacro hardcore (“Potes”,”The show”,”Buxxom”) con alcune rare e furbesche concessioni al crossover per i giovanissimi, vedi la contaminazione rap di “Rancho relaxo”. Sedici brani in mezz’ora come previsto dai tradizionali canoni dell’estremo fin dai tempi del pionieristico “Scum”, vocals che sovrappongono continuamente il growl catarroso al perforante urlo hardcore, perfino cenni di tremendismo thrash con vena ironica alla maniera dei S.O.D. (“Reject radio”). Dunque c’è sostanza tra questi ritmi schizofrenici ai limiti dell’umana sopportazione, sebbene una certa manierosità della violenta mazzata mi generi il sospetto di essere stata studiata a tavolino, pensata e creata in primo luogo per la celebrazione del mito Hoglan, qui sempre più simile ad una vera “drum-machine umana”, e lo schianto tellurico venga generato più dal cervello e dall’esperienza che dal sangue bollente pompato da cuori feroci e genuini. Rimane comunque un immutabile piacere gustarsi un metal terremotante, tritatutto e privo di cedimenti in un epoca dominata da frigide trine e merletti, anche se il disco appare ideale per appassionati che non abbiano pretese di grandi innovazioni.
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