Qualche anno fa, ai tempi di Metal Shock, se mi fosse stato chiesto di recensire un album come questo avrei liquidato la recensione con un "andate a lavorare" ed un voto quanto più prossimo allo zero spaccato.
Oggi, a distanza di più di dieci anni, dato che sono maturato e sono ormai l'emblema del metal italiano, il giudizio morale non cambia, ma la forma è diversa.
Partiamo dalle basi...mai avrei pensato un giorno di trovare un gruppo norvegese che si chiama Trinacria...ma vabbè, ormai non mi stupisco più di nulla. E' un gruppo nuovo? Beh sì, ma certamente non chi lo compone, dato che
Ivar Bjørnson, Grutle Kjellson e Arve "Ice Dale" Isda degli
Enslaved fanno parte in pianta stabile di questa formazione.
Che musica fanno? Qui iniziano le prime difficoltà...
A quanto dicono loro, o la loro label, un mix tra Norwegian Extreme Metal e Norwegian Noise; a quanto diciamo noi invece un bel miscuglio di rumori vari, sferragliamenti, elettronica, loops infiniti.
Tuttavia questo non deve essere preso come un aspetto negativo perchè talvolta durante questo "
Travel Now Journey Infinitely" le sonorità e le atmosfere apocalittiche riescono davvero a conquistare e trascinare in questo trip malatissimo. Ne è un esempio l'iniziale "Part I: Turn-Away" che con il suo incedere ossessivo quasi ipnotizza l'ascoltatore, mentre con la successiva "
Part II: The Silence" il silenzio è quello che vorremmo realmente dato che ci troviamo davanti ad un pezzo noise pallosissimo e senza senso, caratterizzato da un riff orrido ripetuto per l'eternità...una tortura davvero.
Si prosegue con sonorità alla Ministry ("Just One Fix" detta legge) venate da vocals di scuola black metal in cui il noise e l'elettronica vengono praticamente relegate ai soli rumori di fondo che disturbano un normalissimo brano di industrial metal, anche questo ripetuto fino all'ossessione.
Con la quarta traccia si arriva alla parte più interessante del disco, un lunghissimo crescendo di dieci minuti netti in cui l'escalation di follia ed ansia viene percorsa in modo sulfureo e contaminato, fino a sfociare nella rabbia del bellissimo finale che ricorda un mix allucinato dei
Misery Loves Company più sperimentali e di
Burzum più atmosferico.
Il disco, o perlomeno la sua componente positiva, riprende con la sesta ed ultima traccia (dopo l'agonia e la noia della quinta), che ritorna sui temi cari a "
Part IV: Endless Roads", iniziando con un lunghissimo lamento che sfocia su un crescendo (come sempre basato su un unico riffs ripetuto per altri dieci minuti) molto epico ed apocalittico che è davvero un peccato sia contenuto in un disco non all'altezza.
Due ottimi brani, due pessimi fino alla morte, e due normali ma anche evitabili: un disco che verrà presto dimenticato ma che poteva offrire ben altro se solo le direzioni musicali da seguire fossero state chiarite da subito.
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