Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2008
Durata:51 min.
Etichetta:Relapse Records

Tracklist

  1. CHAOS STAR
  2. GOD IS A BEAST
  3. THE DUST WILL NEVER SETTLE
  4. DISEASED
  5. THE SCUM IS IN ORBIT
  6. RELIGIOUS SLAVES
  7. BURN YOU INSANE
  8. DISTANT ROADS OVERGROWN

Line up

  • Rion Lipynsky: guitar, vocals
  • Jay Newman: bass
  • Darren Verni: drums

Voto medio utenti

Un uccellaccio nero che troneggia fiero e impavido sulla Terra lacerata in due e percorsa da varie cariche elettrostatiche. Nessun colore. Uno scenario apocalittico in cui sembra dominare il silenzio più profondo e siderale. Una copertina decisamente poco allegra ci introduce al nuovo disco degli Unearthly Trance, band del rooster Relapse, etichetta sempre attenta ed affidabile nel campo della musica pesante.
Come descrivere la musica di questa band a stelle e strisce? In un certo senso l'artwork di questo nuovo "Electrocution" ci viene incontro, legandosi e richiamando inevitabilmente lo stoner/doom di questo gruppo, il cui filo conduttore che unisce tutti e otto i pezzi del disco è uno solo: un cupezza, un senso di oppressione, la totale assenza di altro colore che non sia il nero più profondo che permea ogni istante di "Electrocution". In questo senso molto è merito della chitarra di Rion Lipynsky, con la sua accordatura bassa e il suo suono così distorto, perennemente in bilico tra psichedelia stoner e passaggio gloomy degni di una qualsiasi band doom metal, sulla cui base si inserisce il cantato dello stesso Lipynsky che gioca con disinvoltura con clean vocals calde ed espressive e scream lancinanti. L'utilizzo di solo linee vocali sporche avrebbe rischiato di appiattire forse troppo il disco, ma con tutta probabilità avrebbero rappresentato una scelta vincente, poichè è proprio in questi frangenti che gli Unearthly Trance si esprimono al meglio, sottolineando con questo timbro il senso di alienazione e rassegnata disperazione che sta sempre alla base delle canzoni. In questo senso si muovono anche gli assoli di chitarra, intrisi di blues e psichedelia e dal sound molto acido che molto sa di anni '70. I pezzi sono comunque etrogenei, in un continuo rincorrersi di accelerazioni adrenaliniche, improvvisi rallentamenti e fughe psichedeleggianti che danno quel tocco alienante tipico di un trip di acido (si noti la lunga e conclusiva "Distant Roads Overgrown").
In definitiva, un acquisto consigliato ai fan dello stoner/doom più sulfureo e morboso. Non un disco, ma un viaggio (o trip se preferite) disturbante e malato che vi porterà ad esplorare territori che non avreste mai pensato esistessero. Un disco che rapisce e che affascina.
Recensione a cura di Michele ’Coroner’ Segata

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