I Devillac sono finlandesi e suonano stoner rock. Se, in tempi di “globalizzazione” anche musicale, questi due fatti apparentemente abbastanza “inconciliabili” non sorprendono più nessuno, suppongo che saranno in molti quelli che, leggendo quella connotazione stilistica, saranno istintivamente portati ad immaginarli come l’ennesimo “duplicato” dei fenomenali Kyuss, divenuti una delle fondamentali pietre di paragone dell’intero genere, “gratificata” da molteplici tentativi d’imitazione (parecchi dei quali decisamente approssimativi, lasciatemelo dire).
Ebbene, è innegabile che anche per “l’educazione” dei nostri finnici gli autori dell’epico “Blues for the red sun” sono stati sicuramente assai importanti, ma la loro attitudine, pur partendo da connotazioni fortemente seventies si sposta anche verso sonorità maggiormente “moderne”, arrivando a ricordare, in qualche modo (senza eguagliarne la varietà espressiva!) più la parabola artistica di quelli che dei Kyuss sono gli eredi naturali: i Queens Of The Stone Age.
Pure in questo caso, nulla di particolarmente singolare, dacchè nemmeno i QOTSA scherzano in fatto di “proseliti”, eppure i Devillac, assolutamente non rivoluzionari, riescono dove molti falliscono, mantenendo intatto un approccio groovy, pesante e lisergico tipico di un cero hard sfumato nel blues e contaminandolo con un’intensità melodica che lo rende facilmente fruibile ed “immediato”, oltre che “fresco” e coinvolgente, come da un po’ non si sentiva da queste parti.
Ipnotico, poderoso e adeguatamente traente “Three hours to coma”, mi è piaciuto a partire dall’incipit riservato alla obliqua title-track strumentale, fino alla conclusione affidata alla pachidermica “Gainer”, anche se una doverosa menzione deve essere spesa per brani come “Man without a spine”, dal tocco gradevolmente rockeggiante ed “attualizzato”, “Kamikaze”, un piccolo trattato di pulsante stoner e mio personale best in class, “Rough mountain”, un perfetto incrocio tra pesantezza e pathos, dominato dalla voce non eccessivamente originale, ma comunque parecchio calda ed evocativa del vocalist Micki.
Bravi Devillac, egregi interpreti di questi suoni, capaci di un interessante crocevia tra ciò che era e ciò che è, prendendo il buono da entrambi e rivelandosi in grado di evitare i rischi più pericolosi del settore con la forza della melodia. Anche nella fredda Turku è possibile trovare dei credibili cantori “desertici”.
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