"
Nemesis Divina" - sottotitolo “
Satyr decide che il caos può avere un ordine“.
Uscito al culmine di un biennio - ’94/’96 - che vede il nord Europa metallico vivere il passaggio dalla meravigliosa e folle età adolescenziale a quella adulta, è il disco in cui il black metal capisce che può essere “pulito” senza perdere la sua anima mefitica. Il suono è cristallino, per i puristi della prima ora persino troppo, eppure l’intenzione resta quella di trafiggere.
Il risultato?
Un'opera d’arte matura e profondissima che setta all’interno del genere di appartenenza un nuovo standard qualitativo; forse, addirittura mai più eguagliato.
L’apice dell’album, e probabilmente di tutta la carriera dei
Satyricon, è la monumentale "
Mother North", una delirante liturgia che riesce nell’impresa di essere tanto pomposamente teatrale quanto efficace. Cori epici, riff solenni, un incedere da marcia apocalittica: è l’inno che per molti fan rappresenta l’essenza poetica di un intero genere musicale.
In un alternarsi clamorosamente equilibrato di pathos e tecnica il resto del disco non è meno degno di nota: brani come "
Forhekset" e "
Du Som Hater Gud" - con i loro rallentamenti a cavallo fra primi Metallica e certa NWOBHM -, piuttosto che la nerissima "
Immortality Passion" dimostrano che i Satyricon non vogliono solo evocare demoni, ma anche strutturare la loro invocazione con una precisione quasi architettonica.
La penna di
Satyr gode di un’ispirazione irripetibile e consegna ai posteri alcuni dei riff più memorabili del decennio, oltre che una prestazione vocale cattiva e malefica ma sorprendentemente chiara, intelligibile.
Frost da parte sua affianca ad una precisione esecutiva militare una fantasia ed un calore nei fills e nei groove che ricordano a più riprese una versione “on steroids” di Dave Lombardo; musicista davvero in stato di grazia!
Il paradosso è che in questo rigore si intravede la vera follia: "Nemesis Divina" è un album gelidamente passionale, dove l’emozione non è solo istintualità. E’ controllo e consapevolezza. È il disco di un gruppo che vuole dominare il caos, non subirlo.
Non smette di essere feroce, ma diventa cosciente della propria immagine, quasi vanitoso. È il momento in cui Satyr passa dall’essere un guerrigliero affascinato dal medioevo ad un raffinatissimo regista del male assoluto.
Oggi, ascoltare "Nemesis Divina" è un’esperienza ambivalente: da un lato, è un disco che non invecchia mai, con la sua atmosfera ancora capace di evocare tempeste e rovine. Dall’altro, appare come una reliquia di un’epoca irripetibile, un mausoleo sonoro in cui ogni dettaglio è stato inciso nel marmo con la pretesa di eternità. E, ironia della sorte, c’è riuscito: è il disco in cui i Satyricon hanno osato essere più grandi del genere che li ha generati; un capolavoro che si prende terribilmente sul serio e che, proprio per questo, resta indimenticabile.
Recensione a cura di Mattia Fontana
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