Il nuovo lavoro dei Coldworker, band nota ai più per lo stazionare di Anders Jakobson (ex Nasum) dietro alle pelli, ci giunge a due anni di distanza dal debut "The Contaminated Void" e ci consegna un gruppo intento a proseguire sugli stessi pesantissimi binari del disco d'esordio, pur apportando qualche aggiustatina al sound complessivo: se il suo predecessore suonava come una discreta mattonata death/grind, "Rotting Paradise" mostra un gruppo che ha deciso di smussare le asperità grind per concentrarsi su coordinate più prettamente death metal. Non fraintendiamo però: il drumming di Jakobson e i pezzi presentano comunque sfuriate e momenti votati al grindcore, ma di certo non rappresentano la parte preponderante della musica dei Coldworker. A tenere banco sono ritmi decisamente più vicini al death metal, ovviamente di stampo europeo, uniti a momenti più grooveggianti e pesanti, senza scadere in banali intermezzi core, ma prediligento più che altro soluzioni cadenzate e pesanti che aiutano a spezzare l'andamento delle canzoni. Riprova ne è una song come "I Am The Doorway", che si chiude in maniera massiccia, mentre canzoni come "Citizens Of The Cyclopean Maze" e "The Black Dog Syndrome" rappresentano gli episodi più riusciti e convincenti di "Rotting Paradise", mischiando violenza esecutiva e un senso melodico (ma senza mai cadere nel ruffiano) decisamente adeguato alla situazione. I pezzi non sono tutti memorabili, ma la qualità complessiva è nel corso del disco sempre buona e non impedisce di godersi il massacro sonoro che "Rotting Paradise" è in grado di offrirci.
Per farla breve, un buon disco ma che probabilmente non possiede una grossa longevità, difetto che è riscontrabile anche nel suo predecessore. C'è solo da sperare che la prossima volta il buon Anders riesca a far fare il salto di qualità che al momento manca alla sua band.
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