Una band svedese dedita, guardacaso a un death metal melodico che ha ovviamente tutte le carte in regola per essere l'ennesima band ispiratasi agli In Flames. Tutto rientra nei piani, riff veloci ma melodici in cui spiccano degli assoli pensati per rimanere impressi in mente e un cantato fatto di sovrapposizioni e incroci tra voce sporca e pulita. Ma tutto diventa ancora più ovvio se si tiene presente che questi cinque ragazzi di Stoccolma sono stati presi sotto le ali protettrici di Jesper Strömblad che li definisce addirittura “il futuro del metal” e spero per la band che i miei dubbi a riguardo siano sbagliati. Ma il signor Strömblad non si è solo limitato a fargli un complimento vagante ma gli ha anche proposto di lavorare insieme ed ecco che 4/5 degli In Flames, Björn Gelotte and co-engineered by Jesper Strömblad, Daniel Svensson and Peter Iwers, si prestano per il mixaggio nella loro seconda casa, gli IF Studios di Gothenborg. Un sogno realizzato per i Degradead, qualcosa che migliaia di band sognano di fare, molte sicuramente di livello superiore ai Degradead… I pezzi che compongono questo “Til Death Do Us Apart” sono 11 e per carità, denotano un lavoro a livello compositivo molto accurato e sicuramente ben riuscito ma quanto rimane dopo svariati ascolti è davvero poco per collocare i Degradead un gradino più in alto nella scala delle moltissime band del panorama melodic death metal. Del resto non se ne può fare una loro colpa se questo genere è ormai arrivato a livelli di saturazione tali da suscitare disappunto anche tra gli amanti del sound made in Svezia e da inneggiare all’ennesimo anti-trend come nel caso del metalcore e dell’emocore, ma è anche vero che un tocco più intimo e personale in ciò che si compone non guasta mai. In “Til Death Do Us Apart” per l’appunto si trovano infatti vari episodi che non spiccano per originalità, come ad esempio in “Fallen”, dove abbiamo un’ apertura che sembra un chiaro omaggio a “Ordinary Story” degli In Flames ma in generale i riferimenti a loro sono disseminati un po’ in tutta la durata dell’album e attingono indistintamente a tutta la loro produzione. La pecca di tutto ciò è l’eccessiva prevedibilità della struttura dei pezzi ma di sicuro chi ama le sonorità anche fin troppo orecchiabili troverà in pezzi come “The Bloodchain” o “Day of the dead” una piacevole e fresca immediatezza e in “Resemblance of the past” un pezzo più tirato e spiccatamente death con una variazione data da una tastiera che ricalca lo stile dei Soilwork. Aspettiamo sviluppi futuri per verificare se e quanto aveva ragione Jesper.
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