C'è aria di cambiamento in casa Magellan: dopo "Symphony for a mysanthrope" (2006) hanno abbandonato anche la Insideout per formare una label indipendente (Muse-Wrapped), ingaggiando come terzo membro Robert Berry (plays a long list of familiar instruments, così è ricordato nei credits) e delegando alla francese Musea il solo compito della distribuzione del settimo sigillo di una carriera altalenante iniziata nel '91 e proseguita nel tentativo di seguire le orme di Kansas, Yes, ELP senza mai però bissare le lodi ricevute con il debut cd "Hour of Restoration". Scritto e prodotto da Trent Gardner, "Innocent God" segna il tentativo della band di allontanarsi dai soliti schemi derivativi per cercare una strada propria senza mai eccedere in lunghi virtuosismi strumentali e focalizzandosi di più sulla componente melodica e corale, tutti i brani diventano così molto accessibili e diretti, azzardando anche ritmiche e percussioni tribali in stile world music ("Found", un refrain degno dei migliori Kansas per un brano toccante che parla di un paese in cerca di aiuti dopo l'inondazione), batterie campionate e impasti corali
di scuola Yes nella riflessiva title track (la madre terra testimone involontaria di una lunga serie di eventi, dalle guerre civili al massacro di Wounded Knee), mentre l'opener "Invisible bright man" è un ottimo esempio di prog immediato, ricco di tastiere e retto da una melodia sontuosa e corale che nel testo nasconde una profonda malinconia. La monotonia della ballad per voce e piano "Who to believe?" è salvata da un'interpretazione molto sentita e ricca di cambi di tonalità (finalmente in questo disco Gardner non canta più come un clone di Trevor Horn assoldato dagli Yes per "Drama") e lascia il posto alla strumentale sorniona
"Sea of details" grande esempio di come i Magellan siano cresciuti a livello compositivo dosando senza mai strafare le giuste parti di chitarre e tastiere, creando un'atmosfera crescente che esplode nel finale magniloquente e minaccioso. "Slow burn" è l'unico brano che non mi ha convinto, un hard rock settantiano già sentito migliaia di volte dal refrain corale in cui predominano le chitarre ed il marchio del sound Magellan fa capolino solo brevemente a metà canzone.
Non tragga in inganno la brutta cover di Mattias Noren (le illustrazioni all'interno sono decisamente più in linea con lo spirito dei brani), finalmente con questo disco i Magellan hanno dimostrato di saper camminare da soli, allontanando così le accuse spesso rivolte alla loro scarsa originalità compositiva. Era ora.
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