Non credo di poter essere smentito, se dico che i
Tesla, nella seconda metà degli anni ottanta, sono stati una delle band più esplosive nel campo del vero hard-rock, degni rappresentanti di quei “padri fondatori” (dagli Humble Pie agli Aerosmith, passando per gli AC/DC) che nel decennio precedente avevano gettato le imperiture fondamenta del settore.
In seguito erano stati un po’ dimenticati, il loro temporaneo scioglimento era passato quasi inosservato e anche il loro ritorno alla “vita discografica”, con il discreto “Into the now”, non ce li aveva riconsegnati completamente “integerrimi”, con annesso rischio di doverli annoverare tra le fila di quei preparati veterani in grado di sopperire con il “mestiere” ad una sensibile carenza d’ispirazione.
Ebbene, questo “Forever more”, il nuovo studio-album pubblicato sotto il patrocinio della nostrana Frontiers, dimostra inequivocabilmente che il “fuoco” arde ancora, che si era forse solo lievemente affievolito e che è stato sufficiente trovare il giusto “attizzatoio” per farlo sfavillare nuovamente in maniera piuttosto vivida.
Difficile immaginare che tutto il merito sia da ascrivere a Dave Rude, la “new-entry” capace comunque di sostituire degnamente Tommy Skeock (per doti individuali e capacità d’affiatamento con l’altro chitarrista Frank Hannon), ma qualunque sia il “segreto” che sottende a questa rinnovata vitalità artistica, è chiaro fin dal primo ascolto che il quartetto consacrato allo scienziato serbo-americano, qui ritrova una grande spontaneità e una verve compositiva degna dei tempi “belli”, grazie ad una manciata di brani veramente pregevoli ed emozionanti, pieni di refrain da cantare (“So what!”, “All of me”), cadenze vibranti (la title-track), sfoggi di forza fisica (“The game”) e di “virile” sentimento (le power ballads “Just in a case”, “Fallin’ apart”, “The first time” e “Pvt: Ledbetter”, dal toccante testo), istiganti quel tipo di brividi così splendidamente “familiare”, idoneo, al contempo, a non apparire demodé nemmeno al cospetto dei sensi delle generazioni meno “stagionate” d’appassionati (le intriganti “Breakin’ free” e “In a hole again” presentano addirittura un vago flavour di moderno “radio-rock”).
Bene così, “ragazzi” … ed ora aspettiamo con trepidazione di sottoporre queste canzoni ad un impegnativo test live, dove il confronto diretto con i “classici” del passato sarà sicuramente ancor più rivelatore e probante.
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