A quanto pare continua l’assalto frontale dei 5 ragazzi di Boston che rispondono al nome di
Unearth. Sono arrivati a quota 4 studio album con questo “The March” che, portando le insegne della signora Metal Blade, godrà di tutto il prestigio e l’attenzione mediatica del caso.
L’ attesa era tanta per una band che negli anni ha raggiunto un livello di popolarità esorbitante mantenendo il proprio nome sempre un gradino più in alto rispetto a molti altri compagni di merende al gusto di metalcore e giunti al dunque ci troviamo di fronte ad un prodotto di innegabile qualità dal punto di vista tecnico ma a cui mancano nuovi argomenti. Si parte con “My Will Be Done”, pezzo che riassume e chiarisce gli intenti dell’intero album e che è stato lanciato sul mercato con il supporto di un video che ne esalta la dirompenza sonora. Ottimi gli assoli di chitarra dove le 7 corde di Buz McGrath e di Ken Susi si fanno sentire incrociando le loro sfuriate piene di armonizzazioni ma proseguendo con l’ascolto ci si rende conto che la band, dopo la prova maggiormente orientata al thrash data con il precedente album “III: In The Eyes Of Fire”, è ritornata ai propri standard di metalcore, sia pure ben suonato.
“Grave Of Opportunity” sorprende con un’inzio dal sapore melodicamente un po’ troppo swedish, che sembra quasi uscire dalle corde di Jesper Strömblad, motivo che ricompare nei ritornelli e che smorza il cantato in pieno stile hardcore di Trevor Phipps ma purtroppo allo stesso tempo lo rende poco credibile e fa pensare a quanto sarebbe risultato di maggiore impatto se invece fosse stato adagiato su di un tappetto martellante di doppia cassa e basso gemellati a creare il classico effetto carro armato. Sono le soluzioni stilistiche ad essere il punto debole di questo lavoro dal momento che gli Unearth sono una band dal fortissimo impatto live ed è proprio in virtù di questo che i pezzi avrebbero richiesto una forma più aggressiva e “in your face”.
Non mancano comunque i pezzi ben riusciti, dalla vena più hardcore come “We are not anonymous”, eccezion fatta per quel superfluo assolo in stile Alexi Lahio (perché?), la titletrack “The March” che picchia duramente come farebbero gli Hatebreed e intona cori che si imprimono nella mente ed inoltre bisogna ringraziare gli Unearth per averci risparmiato il consueto alternarsi di growls profondi e versi cantati con voce melodica e pulita che finisce col nauseare ogni tentativo di ascolto di sonorità marchiate metalcore. Trevor Phipps mantiene la sua voce ruvida con un’onesta dose di cattiveria e coerenza per tutto l’album, senza eccessi né sorprese.
L’impressione finale lasciata dopo svariati ascolti è che, se si esclude qualche coro strategico nei ritornelli, si brancoli nel buio nell’intento di distinguere un pezzo dall’altro, altra ragione per cui a “The March” va una sufficienza strappata via con le unghie.
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