Cosa caspita è successo ai
TNT? Lo so, non è la prima volta che una domanda del genere si fa strada nella mente dei fans del gruppo norvegese, che già in passato aveva messo a “dura prova” la loro “apertura mentale” con dischi decisamente controversi (“Firefly” e “Transistor”, ad esempio), ma qui non si tratta di valutare una certa voglia di “cambiamento” e di “modernizzazione”, nel tentativo, spesso riuscito (“Give me a sign”, “My religion” e “All the way to the sun”, sono degli ottimi esempi di “arena rock” contemporaneo) di affrancarsi da un’eventuale forma d’eccessiva fossilizzazione, bensì di commentare un’involuzione d’ispirazione assai preoccupante.
Trasformatasi con “New territory” (anch’esso molto debole, per la cronaca) in una propugnatrice di pop rock dalle evidenti brame “commerciali”, tra richiami sixties e melodie iperglicemiche, la formazione capace di sfornare gemme del calibro di “Tell no tales” e “Intuition”, dimostra ancora una volta di essere parecchio a disagio in questi “nuovi territori”, perde quasi completamente la sua tipica “identità” e si avvicina talvolta (e mi costa davvero tanto scrivere queste parole) addirittura all’immagine artistica di una sorta di “boy band” un po’ “cresciutella”, sebbene tecnicamente superiore e leggermente più estrosa e “fisica” della media delle rappresentanti di settore.
Forse la definizione è un po’ esagerata, però la delusione è veramente bruciante così come consistente è la “rabbia” nel vedere il talento enorme di LeTekro sprecato in questo modo e la voce extraordinaire di Mills (Shy, Siam), che a partire dal già citato lavoro precedente ha sostituito il magnifico Tony Harnell, limitata dai confini angusti di composizioni insipide, a volte persino pericolosamente prossime alla “molestia” (vedasi le “stravaganze” di “Babys got rhythm” e “Tango girl”) e comunque per nulla adatte a liberare come meritano le scintille della sua fascinosa laringe.
Dopo tante indicazioni mestamente negative, la “buona notizia” è che il disco offre anche qualche pezzo tutto sommato decente (“The missing kind”, “Love of my life” e le Queen-esque “Hello hello” e “Me and dad”), un fatto che purtroppo non consola chi è affezionato a questa band così seminale per la “formazione” dell’hard rock melodico scandinavo e che non credo, d’altro canto, sarà sufficiente per conquistare nuove e diverse fasce d’appassionati di musica.
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