Quella degli
Zephyr è un’altra storia piuttosto “tipica” nell’ambito dell’heavy italico anni ’80. Tanta gavetta, passione, ispirazione, gratificanti riscontri da parte di critica e pubblico, qualche importante riconoscimento, ma poi pochissimi sbocchi concreti.
Un paio di demos, apprezzate esibizioni live (la loro performance all’Heavymas di Pistoia - il primo raduno nazionale per gruppi hard n’ heavy emergenti svoltosi nel 1985 - è ricordata come un evento memorabile), alcune apparizioni televisive (soprattutto nell’ambito dei programmi di Videomusic, che commissiona alla band la sigla di “Road show”, “Born to run”), non bastano al gruppo di Ravenna per arrivare a concretizzare un progetto discografico ufficiale.
Tra temporanei scioglimenti e reunion, gli Zephyr, diventati nel frattempo la “creatura” personale di Alessandro Zazzeri (il quale porta avanti parallelamente anche carriera solista e varie collaborazioni), hanno dovuto aspettare quasi trent’anni per vedere realizzato un disco a loro nome.
E’ stata, e ciò non sorprende più di tanto, la competente e preziosa collaborazione tra l’Andromeda Relix e la New LM Records, da sempre attente anche ai talenti “dimenticati” di casa nostra, a mettere in pratica un vero e proprio atto di “giustizia” musicale, estrinsecato attraverso la pubblicazione di questo “The last dawn”, contenente le dieci canzoni dell’album omonimo arrivato ad un passo dall’uscita già nel 1989, i quattro pezzi della cassetta dimostrativa del 1985 e la summenzionata “Born to run”.
Musicalmente assistiamo ad un suono in bilico tra il metallo oscuro e un hard rock dal taglio più “commerciale”, il tutto sviluppato costantemente con gusto ed estro (nutro, però, parecchie perplessità su “Leave me alone”, un brano bizzarramente funk-eggiante, assolutamente “fuori luogo”, anche in una situazione abbastanza eterogenea come quella tratteggiata nel Cd), anche se è innegabile che gli arrangiamenti inevitabilmente un po’ scarni limitino, almeno in parte, l’impatto e l’efficacia dei pezzi d’estrazione “americana”, dove la “forbitezza” e la ricchezza sonora sono ingredienti pressoché essenziali per il raggiungimento del massimo risultato.
Il momento migliore è senza dubbio rintracciabile nell’evocativa title-track, capace di trasportare l’ascoltatore negli antri leggendari e misteriosi delle migliori ambientazioni eroiche, rivelando una padronanza e una forza espressiva davvero imponenti, ma anche “Brain insane”, con il suo incedere inquietante, il lento “Lady of the dancing water”, la caliginosa “No more jail” e le ammalianti “reliquie” “For love”, “Sweet flying eyes” e “Voices of ocean” conquistano istantaneamente i sensi, così come “Ride on” e la vibrante “Eyes of the storm” sono i numeri di maggior pregio per quanto riguarda l’orientamento indirizzato a forme di rock duro dal carattere più “affabile”.
Un gradevole booklet completa quest’emozionante istantanea di un’epoca che oggi, in cui tutto “appare” fin “troppo” facile, risulta anche più lontana nel tempo di quello che è in realtà.
Scongiurato il rischio di rimanere solamente uno sbiadito e “nostalgico” ricordo nella memoria di chi quel periodo l’ha vissuto in prima persona, gli Zephyr e la loro consistente perizia sono a Vostra disposizione per essere (finalmente!) apprezzati come meritano. Come dicevo, giustizia è fatta!
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