Ricordo di essermi avvicinato all'esordio dei portoghesi Heavenwood sulla scia dell'entusiasmo suscitato dai loro connazionali Moonspell, ma "Diva" (1996), sebbene si fosse rivelato un album discreto, non aveva fatto scoccare la classica scintilla, e, infatti, ignorai (nonostante la presenza di Kai Hansen come ospite) il successivo "Swallow", uscito nel 1998.
Da allora il silenzio, rotto solo ora da "Redemption", terzo album per gli Heavenwood che si ripresentano con una formazione ridotta a soli tre elementi, il cantante Ernesto Guerra ed i chitarristi Ricardo Dias e Bruno Silva, già presenti su entrambi i precedenti lavori.
"Redemption" non si distacca poi troppo dal passato del gruppo, muovendosi comunque più sul versante dei Paradise Lost (vedasi "Me & You", "Fragile" o "Take My Hand") che su quello dei Moonspell, ma non è che "Redemption" faccia poi rimpiangere tutti questi anni di silenzio, canzoni come "One Step to Devotion" o "Obsolete" filano via nell'anonimato più totale, mentre ottengono risultati maggiori la dinamica opener "13th Moon", con un buon lavoro alle chitarre ed alle voci, la swedish "Bridge to Neverland", e la doomeggiante "Foreclosure" e, in parte, l'irrequieta "Her Scent In the Spiral".
Una mano la provano a dare anche alcuni guests, come la cantante Tijs Vannest (Ocean of Sadness) su "Obsolete", Gus G. (Firewind) ospite alla chitarra su "One Step to Devotion" e sopratutto Jeff Waters (Annihilator) che piazza un bruciante assolo su "Bridge to Neverland", ma senza che questo migliori più di tanto la resa complessiva di "Redemption", un album dal quale ci si poteva (e doveva) aspettare molto di più.