Mi suscitarono buone impressioni già con l’esordio omonimo, ma oggi gli
Hollow Haze (nel frattempo cambiati in buona parte del personale esecutivo e nel patrocinio discografico) e la loro combinazione di classic metal e hard rock, condita da qualche svolazzo prog e da una fascinosa componente atmosferica di stampo fosco e drammatico, riescono a fare pure di meglio, sfornando un lavoro che ripesca alcuni dei “pezzi forti” di quel debutto (“Easy Road”, “Breathless”, “Final contest”, “Waiting” e “Illusion around”) opportunamente emendati e li accosta a brani completamente nuovi, conferendo allo scacchiere complessivo una sensazione di più precisa messa a fuoco e di maggiore propulsione dinamica, anche grazie all’esplosiva resa sonora.
Le canzoni inedite (“Burnt desire”, “Coming back” e “Dark”, le mie preferite) s’incastonano perfettamente con l’oculata selezione recuperata da “Hollow haze” (peccato, però, aver trascurato la preziosa title-track!) e confermano i cospicui pregi dell’act vicentino, artefice di un sound capace di dimostrare che anche quando i “debiti” nei confronti di nomi “piuttosto” celebri del settore (Savatage, Queensryche, Ozzy Osbourne, Iron Maiden, Edguy …) sono abbastanza sostanziosi, si può comunque evitare il rischio della “bancarotta”, se si possiedono le giuste capacità nel far fruttare un patrimonio così popolare e caratterizzato.
Non si potrà, dunque, certo dire che la principale dote degli Hollow Haze sia rintracciabile in una forma d’originalità “tout court” e pur tuttavia la loro proposta non è né fastidiosamente retrò, né adduce “snaturanti” pretese moderniste, scorre “semplicemente” con forza espressiva e gusto melodico, grazie all’interazione combinata di cognizione, vocazione “tradizionale” e preparazione tecnica.
Oltre allo smaliziato Nick Savio, a livello di singoli, segnalazione d’obbligo anche per l’ottimo sostituto del noto Dan Keying, Ivan Rave, il quale con la sua intonazione stentorea, “cattiva” ed intensa, sembra addirittura più “adatto” del suo pur validissimo predecessore a queste situazioni musicali, contrassegnando con il timbro di una duttile sensibilità interpretativa praticamente tutte le tracce del Cd.
Tra ammalianti tempi medi, traenti accelerazioni e lirismi enfatico-tenebrosi, “The hanged man” promuove a pieni voti i suoi autori come degli autorevoli rappresentanti di quel hard n’ heavy a Denominazione d’Origine Controllata forse artisticamente poco innovativo, ma impeccabile dal punto di vista dell’impatto emotivo.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?