Tagtgren, dopo
"The Fourth Dimension" del 1994, continuava a essere attivo su più fronti: era chitarrista live dei
Marduk, si occupava del suo progetto Industrial metal
Pain, e inoltre fondava assieme a
Szoke ed
Hedlund i
The Abyss (dunque con la medesima formazione degli Hypocrisy), con il ruolo di batterista, cantante e bassista; e sempre in quegli anni, 1996, rilasciava il quarto album dei suoi
Hypocrisy:
"Abducted" (
Nuclear Blast).
Erano tempi in cui il Death Metal, come avevamo scritto nella recensione di
"The Fourth Dimension", diede origine a molte diramazioni, di cui, quelle che poi avevano interessato il percorso artistico degli
Hypocrisy , erano pertinenti al Melodic Death Metal e alle sue ibridazioni con il Doom.
Nel frattempo, sempre nella prima metà dei '90, proseguendo per tutta la decade, era nell'aria una forte ondata Industrial, portata in auge da
Godflesh,
Nine Inch Nails,
Marilyn Manson e
Rammstein, che andava ripercuotendosi in vari generi estremi e non – si pensi, parallelamente a questo, a quanto stavano facendo con il loro Cyber Thrash i
Fear Factory.
Tutto ciò avveniva anche in ambito Black, per esempio con formazioni come i
The Kovenant (che finirono per cambiare letteralmente genere), i
Dødheimsgard, i
Mysticum o i
Thorn. L'industrial si insinuò e facilitò anche il sorgere di nuovi sottogeneri in ambito più alternativo e meno ortodosso, come Alternative e Nu Metal. Per non parlare della tendenza diffusasi – in seguito al successo dei
Pantera di inizio anni '90 –, praticamente quasi in ogni genere, perfino nel Death più intransigente, di suoni corposi tendenti al Groove metal.
Tutto questo per far comprendere il retroterra musicale dei tempi in cui sorse
"Abducted". Il quale di questi porta chiaramente il segno, miscelando al suo interno dinamiche Death metal estremamente affini al Gothenburg sound, sperimentalismi elettronici talvolta dal sapore psichedelico e Pink floydiano, Death vecchia guardia, unite a sporadiche intuizioni più "moderne" (per l'epoca) sulla scia di quanto, di lì a poco – nel 1997 per la precisione –
Tägtgren inaugurerà con i suoi
Pain.
Quello che rende sensazionale questa quarta opera degli Hypocrisy è che il complesso di policromie menzionate riescono ad amalgamarsi tra di sé in un unico costrutto organico, dando luogo a un disco quantomai irripetibile.
Non si può certo asserire che gli svedesi nel '96 avessero creato un genere, o che avessero stravolto l'allora corso del panorama estremo – d'altronde non avrebbero neanche avuto i mezzi che garantissero la cassa di risonanza adeguata, perché, per quel che si possa pensare, senza questi raramente si può alterare il corso di un genere musicale, e la Nuclear Blast non era ancora l'etichetta che tutti oggi conosciamo –, tuttavia
"Abducted" suonava, e suona tutt'ora, quanto mai autentico e geniale: probabilmente il disco "Death" più all'avanguardia della sua epoca.
È un turbinio di emozioni quello da cui si viene travolti quando, la strumentale dai tratti elettronici
"The Gathering" lascia spazio al riff avvolgente, cadenzato e fottutamente catchy di
"Roswell 47" – sulla scia di un Melodic Death ispirato allo stile del gruppo di
Stanne – quantomai riuscito, così come la bellissima e più sferzante
"Killing Art", con echi provenienti dagli
At the Gates uniti alla brutalità dell'old-school stile
Entombed. Emozioni quando si viene galvanizzati con pezzi dal mood Groove dalla presa immediata come
"Buried" e
"Carved Up"; dagli assalti Thrash terremotanti di
"Point of No Return", oppure mentre ci sentiamo abbattuti dal muro sonoro del Death della prima ora contenuto nella
"Title-track". Insomma, potremmo proseguire per ognuna delle canzoni della tracklist (ben 13), poiché sono tutte una più bella dell'altra (fatta forse eccezione per
"Paradox").
"Abducted" è un LP avvolgente, ammantato di quella magia alienante, ipnotica, tra follia e paranormalità, tra terra e cosmo; dove l'estro indomabile di
Tagtgren tesse le fila in maniera magistrale, riuscendo a veicolare tutta la sua vena creativa in composizioni che, pur nella loro pluralità di istanze, preservano costantemente un contatto diretto con una certa essenzialità, capace di rendere tutti i brani facilmente fruibili.
Un artista che qui risulta in grado, come pochi altri, di trascinarci nel suo spazio metafisico finendo per commuoverci, lasciandoci a bocca aperta dallo stupore quando, in conclusione del massacro, con due tracce fortemente Pink floydiane – come la delicata ballad dagli echi Pop "
Slippin' Away", e la più estraniante
"Drained" – pone il sigillo terminale su una delle linee di vetta del Metal svedese e del genere tutto.
Recensione a cura di
DiX88