Oltre ai celeberrimi
Celtic Frost (trattati con dovizia di particolari qualche anno fa sul canale Youtube di
Metal.it),
Warrior, che si avvicinò all’Heavy Metal già in età adolescenziale visto che lì trovava rifugio dai suoi problemi familiari, con una madre che quando lui era ancora un bambino cominciò ad avere dei seri problemi mentali e questo portò ad un’infanzia pregna di sofferenza da parte del nostro: questo preambolo è fondamentale per capire qual era il clima nel quale egli maturò il suo amore per il Metal, che considerava come una seconda “casa”. Già nell’82 contribuì a far germogliare il seme del Black Metal con le prime demo degli
Hellhammer nei quali vi saranno tutti gli elementi base che saranno sviluppati nei
Celtic Frost, fino ai
Triptykon. In tutto questo nella seconda metà degli anni ’90 con
Erol Unala fondò la band Industrial Metal
Apollyon Sun che in tempi più recenti in qualche modo piuttosto velato rinnegherà.
In questo articolo andremmo a ripercorrere tutto quanto ha fatto nelle altre creature musicali all’infuori dei
Celtic Frost, dalle fiamme nere seminali degli
Hellhammer, con quell’unione Punk/Metal che vide nei primi
Venom come la sua principale musa ispiratrice, fino a giungere ai giorni nostri e l’approdo ai lidi Doom Metal sempre pesanti ma più raffinati ed eleganti, avvenuti nell’ultimo decennio di carriera: in tutto questo nella musica di questo mostro sacro troverà sempre e solo spazio l’oscurità e sentimenti negativi per il genere umano.
Detto questo, prepariamoci ad addentrarci nei meandri della sua carriera, tra esoterismo e sessualità, tra satanismo e arte, con un personaggio più unico che raro che il suo dolore lo trasportò e lo trasmise (e continua tutt’oggi a trasmettere) nella sua musica.
Genere e periodi di attività:
Speed/Thrash Metal (
Hellhammer, 1982 – 1984)
Industrial Metal (
Apollyon Sun, 1995 – 2007)
Doom Metal (
Triptykon, 2008 – ancora in attività)
Non si può cominciare a parlare della carriera del nostro escludendo gli
Hellhammer e difatti non sarò io a farlo. La band in questione, prima seria esperienza musicale per
Fischer (oltre ad essere accompagnato dal suo amico e compagno di merende
Martin Eric Ain) nel suo brevissimo arco di vita produsse tre demo, criticate spesso e volentieri in modo spietato e feroce dalla stampa dell’epoca, un Ep (il luciferino e seminale
"Apocalyptic Raids", ristampato postumo nel ’90 sottotitolato
"1990 A.D.", con un paio di canzoni in più ed una cover alternativa, molto ricercata dai collezionisti e ristampato poi nel
2020 con un'altra copertina che a mio parere è meno incisiva di quella della versione del 1990) e prese parte a delle compilation, delle quali vale la pena citare quella titolata
“Death Metal“, uno split in compagnia di
Running Wild (di cui vi rimando la
classifica della loro discografia),
Dark Avenger e
Helloween (questi ultimi nel 2021 hanno conquistato lodi in lungo e largo con il loro
album omonimo). Il gruppo solo postumo, durante gli anni ’90 (con vari tributi da varie band, dai
Sepultura ai
Napalm Death, passando per l’intera scena norvegese) avrà il giusto riconoscimento: dopotutto a livello sonoro furono per certi versi degli importanti anticipatori ed è da queste demo polverose e “da cantina” oltre che dal loro Ep che nascerà lo stile – ed il mito – dei primi
Celtic Frost.
Ma la proposta musicale? Essa nelle prime due demo è ancora molto (effettivamente troppo) grezza, immatura ed ingenua, molto Punk oriented e semplicistica con i vari elementi poco sviluppati ed una qualità di registrazione a dir poco pessima che rasenta la cacofonia nelle prime due demo
"Death Fiend" e
"Triumph of Death". Il vero salto di qualità avverrà con la terza demo intitolata
"Satanic Rites", che nonostante sia ancora un po’ naif e la qualità di registrazione è quella che è, vi è una seria crescita stilistica da parte di questi ragazzi: la componente Hardcore Punk è sempre presente, ma accanto ad essa si ha una forte incorporazione della velocità dei
Motorhead, con la pesantezza dei primi
Venom (che di fatto erano la principale ispirazione) e l’atmosfera dei
Black Sabbath dei primi tre storici album, immaginatevi insomma un’improbabile jam session tra le tre band poc’anzi citate e racchiudete tutto in una cassettina. Tutto questo venne unito e poi estremizzato, accanto a testi di matrice esoterica e satanica che non faceva altro che allontanare sempre più persone attorno a loro: per tutti questi motivi, insieme alla ovvia introvabilità delle demo e dell’ep che bisogna accogliere con un certo entusiasmo la raccolta licenziata dalla
Century Media nel 2008, delle varie demo fatte dagli
Hellhammer, rimasterizzate per l’occasione dal master originale e messa nel mercato in varie edizioni per accontentare un po’ tutti.
"Demon Entrails" rappresenta un pezzo di storia del metal estremo, nel quale vi ritroveremo quel suono sporco e grezzo, quasi marcio e putrescente vista l’infima qualità di registrazione (anche se ad onor del vero nella terza demo, contenuta nel primo disco le cose sono un po’ migliorate), avente un’atmosfera cupa, catacombale dai tratti primordiali e primitivi valorizzata dagli “Uh” di
Tom, che in seguito terrorizzeranno il mondo musicale e dal pesante effetto eco che ha la sua voce sguaiata e sgraziata; tutto ciò con una tecnica strumentale approssimativa ed una costante puzza di morte, tutte cose alimentate a loro volta dai testi tra l’esoterismo e il satanismo trattati in maniera sorprendentemente esplicita.
Tutto ciò rende la doppia raccolta un
acquisto semplicemente obbligatorio per chiunque ami veramente il metal estremo, la quale è ammantata da un fascino intrinseco tutto underground e dalle demo rispolverate da chissà quale archivio, ma allo stesso tempo è un ascolto completamente inadatto agli amanti del metal moderno, fatto di produzioni limpide e sound aventi strutture ben più elaborate ed articolate e per sua natura oggi come allora, gli
Hellhammer saranno apprezzati solo da pochi eletti.
Nel ’93 i
Celtic Frost si sciolsero e
Tom, per sua stessa amissione, cercò di allontanarsi dagli ambienti musicali, salvo poi nel ’94/95 ritornarci dentro con una nuova band con il compare
Erol Unala: gli
Apollyon Sun. Questo gruppo vede una direzione musicale molto differente da quella fatta dal nostro genio elvetico, spostandosi verso lidi Industrial Metal ed elettronici, ma con l’onnipresente oscurità che permea nei suoi lavoro.
Nell’antipasto presente nei venti minuti del bel Ep
"God Leaves (And Dies)" sono presenti tutti gli elementi musicali del progetto e siamo su lidi molto distanti da quanto fatto in passato (e in futuro) dal leader maximo: ora si viaggia su coordinate stilistiche tipiche dell’Industrial Metal, fatto di synth in primo piano, coprotagonisti delle chitarre effettate e distorte, con effetti su effetti, basi elettroniche, fortissime influenze Trip Hop che danno al lavoro un tono cupo e metropolitano. L’atmosfera è poco rassicurante, con beat e bassi dalle tinte dark, la voce
Tom è pulita e spesso viene filtrata e sporcata dall’elettronica, dando un tocco freddo e cibernetico. Un lavoro molto moderno quello uscito nel 1998, oltreché una ventata d’aria fresca per il nostro che si addentrò nel mondo del metal imbastardito dall’elettronica in buona maniera. Tutto ciò sarà replicato due anni dopo con l’album
"Sub", che però nel suo interno soffre di un fondo di ripetitività, ma ciò non toglie che sia comunque un lavoro interessante e di discreta fattura visto che a tratti sembra di sentire un rave party esoterico.
Quella con gli
Apollyon Sun, con la loro delirante deriva Industrial Metal è rimasta una pagina unica, visto che
Warrior ritornerà su sonorità più familiari con la sua ultima band.
Ed è ora il turno dei
Triptykon e manco farlo apposta anche questa band nasce dalle ceneri dei
Celtic Frost! D’altronde il secondo chitarrista e screamer del gruppo,
Santura (che già si era fatto le ossa nei
Dark Fortress, band tedesca all’interno del marasma del Black Metal Sinfonico) sarebbe dovuto confluire nei
Celti Frost se non si fossero sciolti…
Fischer inoltre prende altri due musicisti giovani: il batterista
Norman Lonhard e la sua amica
Vanja Slajh in veste di bassista e corista.
Nel 2010 viene finalmente licenziato tramite la
Century Media (una label che è in molti casi è garanzia di qualità nel metal) il debut album della band:
"Eparistera Daimones" che è a tutti gli effetti il successore spirituale di
"Monotheist". Il primo motivo che lo rende tale è per il semplice fatto che le coordinate musicali seguono il solco di quanto tracciato nel 2006, mentre come secondo motivo è che il materiale che doveva fare parte dell’ipotetico settimo sigillo discografico dei
Celtic Frost è confluito qui dentro, quindi non stupisce affatto che le sensazioni e le atmosfere siano simili. Tra l’altro è interessante notare come
"Monotheist" sia stato rivalutato in maniera estremamente lusinghiera da gran parte di quella stessa critica che, tempo prima lo accolse in maniera decisamente tiepida.
Ma ora è giusto spendere un paio di parole per questo buon esordio qual è
"Eparistera Daimones"; a livello sonoro si tratta di un Thrash/Black Metal oscuro e opprimente rallentato all’estremo fino a trasformarlo in un Doom Metal pesante e ossessivo, a livello chitarristico nelle parti più sporche la coppia d’asce va a macinare riffs sludgey, le canzoni sono spesso lunghe ed angoscianti, aventi un
Tom Warrior in forma smagliante come vocalist: la sua voce assume tratti sempre più laceranti e cavernosi per alternarli ad una voce melodica dai tratti sulfurei e mistici. La sezione ritmica viaggia su coordinate tutt’altro che frenetiche (con la sola esclusione di quella sbadilata “in your face” dal titolo
"A Thousand Lies" nella quale
Warrior urla tutta la sua rabbia per lo split dei
Celtic Frost) e le doppie voci fanno capolino di tanto in tanto a supportare questo mostro sacro, con dei mai banali gorgheggi gotici (per intenderci siamo ben lontani dal Gothic “all’acqua di rose” annacquato dal Pop) a fare la loro comparsa in questo lavoro per dare un po’ di respiro all’ascoltatore oltre ad arricchire le melode, insieme ad un sorprendente pianoforte melodico (
"Myopic Empire"). Alla fine della fiera comunque ci penseranno i venti minuti della marcia funerea
"The Prolonging" a sprofondare l’ascoltatore in un’altra dimensione nella quale si entra in un abisso di odio misantropico e di disperazione senza fondo; e questa volta sia critica che pubblico danno il giusto merito alla nuova fatica del nostro.
Dopo un piacevole quanto inutile Ep
"Shatter", con il quale si ripescavano alcune vecchie glorie della sua precedente band,
Tom e compagni si fanno attendere quattro anni per un loro nuovo disco in studio.
"Melana Chasmata" risulta essere un altro capolavoro – o potenzialmente tale – di metallo granitico ed alienante e uno dei dischi più riusciti di quell’annata.
Dopo il successo del debutto, la
Century Media spinge particolarmente a livello promozionale, con la band sempre intenta a parare sulle sonorità già affrontate in passato ma con una cura e per un’attenzione dei dettagli ben lontani da quel rozzume sonoro che era presente negli
Hellhammer e nei primi
Celtic Frost; il lavoro è sempre oscuro ed estremo ma presenta più aperture melodiche ed una venatura gotica più marcata e sviluppata, nella quale vi si ritrovano pure delle raffinatezze inaspettate con un sound dalle atmosfere lontane e in certi casi misticheggianti. Le chitarre come da tradizione alternano pesantissimi riffs Doom che in questo lavoro si fanno dissonanti e marziali ad altri più atmosferici,
Tom qui sfodera sempre una gran prova vocale con la sua voce che sa essere assassina come molto soffusa e insieme agli elementi presenti in
"Eparistera Daimones" (scream di
Santura che si prendono più spazio che in passato, cori femminili, riffs Thrash/Black in salsa “slow” ecc) emergono alcune sperimentazioni ardite nelle varie litanie funeree presenti qui (come l’esperimento pseudo Industrial nella lugubra ed inquietante
"Demon Pact") e presentano un sound più complesso e stratificato; tutto questo “ben di dio” viene inoltre valorizzato da una produzione potente, moderna e cristallina.
"Melana Chasmata" – come il disco precedente – presenta non solo un sound soffocante, pesante (nonostante la ricchezza melodica è comunque un lavoro che ha una pesantezza di fondo per le sue atmosfere cupe e drammatiche che gli impedisce di essere apprezzato da molti) e nero come la pece, ma pure tanto simbolismo ed un fervido immaginario occulto che si fanno vive già dalla copertina (anche qui come nel disco precedente ed in
"To Mega Therion" viene preso in prestito un’opera dell’artista Svizzero
Giger, amico di
Fischer e deceduto poco prima del rilascio di questo secondo lavoro di casa
Triptykon), per poi andare ad annidarsi nelle liriche esoteriche e nel sound: tutto questo, insieme alle idee messe sul piatto da
Warrior oltre che dai suoi nuovi compagni di avventura e alla qualità con le quali esse sono state sviluppate, ha fatto sì che questo album abbia fatto nuovamente incetta di consensi tra critica e pubblico, con lodi sperticate, partecipazione e a festival di gran prestigio.
Tutto ciò ha dato una seconda giovinezza all'artista svizzero, che da oltre quarant’anni è sul campo e ha fortemente contribuito alla nascita e al suo successivo sviluppo sia del Black Metal che del Death Metal con album di grande valore artistico.
A sorpresa nel 2020 giunge quindi quello che ad oggi è l'ultimo lavoro dei
Triptykon, con un
Thomas Gabriel Fischer che dopo il secondo platter della sua band principale fu parecchio criticato da molti fans per la scelta di fare un tributo live agli
Hellhammer, sotto il nome di
"Triumph of Death" che ebbe ampio spazio nei live dello svizzero.
Ecco quindi che
"Requiem (Live At Roadburn 2019)" sorprende non solo per il ritorno della band, ma per la scelta di rilasciare un live orchestrale nel quale sono contenuti ben trenta minuti di musica inedita, il tutto nato da una proposta dei capoccia del celeberrimo festival, con il quale finalmente si è chiuso il cerchio dei
"Requiem".
L’ingresso del nuovo batterista
Hannes Grossmann, la collaborazione della cantante
Safa Heraghi e la
Metropole Orkest capitanata dal direttore
Jukka Iisakkila sono tutti attori fondamentali di quest’opera che porta alla luce l'inedita
"Grave Eternal", insieme alle altre due parti (la prima
"Rex Irae" dal leggendario
"Into The Pandemonium" e la terza parte
"Winter" contenuta in quel macigno di
"Monotheist") rivedute e tirate a lucido.
Al contrario di molti altra esperimenti per certi versi simili o analoghi (vedasi
Metallica,
Helloween,
Blind Guardian e via discorrendo), la fusione tra Metal e Musica Classica è riuscita in maniera pazzesca, con il collante della Musica Sacra a dare una nuova chiave di lettura al genere: non aspettatevi quelle fanfare pompose che fin troppo il genere ci ha abituato, né tantomeno di avere una lista più o meno lunga di canzonette Pop Rock con i chitarroni appesantiti e le tastiere in primo piano che fin troppo spesso hanno appiattito e banalizzato, se non addirittura ridicolizzato questo genere. Il tutto arricchito da da influenze Dark e Post Punk, oltre che da una voce femminile molto distante dallo stereotipo delle cantante pseudo lirica dura a morire su certi lidi.
In cuor mio un lavoro che spero possa rappresentare un faro per chiunque voglia approcciarsi a determinate sonorità.
Un excursus doveroso per uno dei personaggi più importanti del Metal estremo (e non solo), che ha contribuito fortemente allo sviluppo di alcuni sottogeneri e una carriera costellata da diversi successi artistici.
E mi sembra giusto concludere ricordando che nelle intenzioni del cantante/chitarrista svizzero,
"Requiem (Live At Roadburn 2019)" è un omaggio a tutti quei compagni di vita che oggi non sono più tra noi e penso che sia
Martin Eric Ain, che
Hans Ruedi Giger non potessero ricevere un omaggio migliore di questo da parte sua.
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