Non è bastato arrivare all’
Alcatraz alle 20.20 per riuscire a godersi per intero lo show. Con precisione encomiabile i norvegesi
Sahg sono saliti sul palco alle ore 19.50 per terminare la propria performance alle 20.30, come concordato con
Akerfeldt e compagni, davanti a un locale, se non al completo, davvero molto “popoloso”. È un peccato, perché gli ultimi minuti di
“Pyromancer” suonano bene, decadenti e affascinanti quanto basta… sarà per la prossima volta.
Setlist:
Black Unicorn
Devilspeed
Hollow Mountain
Repent
Firechild
Sanctimony
Blood of Oceans
Pyromancer--------------------------------------------------------------------------------------
Sono curioso di risentire gli
Opeth dal vivo dopo tanto tempo. Non ho un gran ricordo del concerto del dicembre del 2008 a cui assistetti… allora gli svedesi suonarono sul palco “piccolo” dell’
Alcatraz e mi sembrarono di una freddezza spaventosa. Colpa di una formazione poco rodata, di una scaletta un po’ deludente, di una semplice serata no, non lo so, però uscii dal locale convinto che un live degli
Opeth, che
sempre ho apprezzato su disco,
“non facesse per me”.
A distanza di otto anni, sarà cambiato qualcosa? La risposta, per quanto mi riguarda, è
“nì”.
Partiamo dai dati oggettivi: l’attuale formazione degli
Opeth è probabilmente quella più “solida” da molto tempo a questa parte, e questo inevitabilmente si ripercuote sulla performance tecnicamente ineccepibile (menzione speciale per il nuovo tastierista
Joakin Svalberg, penalizzato da un volume troppo lontano da quello delle chitarre); è stata creata (finalmente) una “cornice” di luci e proiezioni che sicuramente è più consona ad un live datato 2016; i brani dell’ultimo
“Sorceress”, con mia sorpresa, funzionano molto bene anche dal vivo (anzi, sia la titletrack che
“The Wilde Flowers” hanno sicuramente beneficiato del trattamento “on stage”);
Mikael Akerfeldt (in primis) e soci, piaccia o no, sono dei
pessimi intrattenitori.
E qui sta l’unico vero limite di un concerto altrimenti inattaccabile, con un’ottima scaletta che ripercorre in modo equilibrato tutta la lunga carriera della formazione, da
“My Arms, Your Hearse” in poi.
Mikael è l’unico a proferir parola e quando lo fa non dice niente di intelligente e/o simpatico (perché poi scappino le risatine all’udire
“fuck” o
“sodomize”, questo proprio non lo so) e non si fa scrupoli a perdere 40/60 secondi per accordarsi o cercare di capire quale nuovo effetto della chitarra gli sta dando dei pensieri.
Gli
Opeth prenderanno pure a modello i mostri sacri del passato, ma se mai raggiungeranno le capacità di tenuta del palco dei vari Deep Purple, Jethro Tull e compagnia bella sarà solo la storia a dircelo. Per ora “accontentiamoci” di una band che, molto fedelmente, ripropone dal vivo i propri migliori brani…
Setlist:
Sorceress (da “Sorceress”)
Ghost Of Perdition (da “Ghost Reveries”)
Demon Of The Fall (da “My Arms, Your Hearse”)
The Wilde Flowers (da “Sorceress”)
Face Of Melinda (da “Still Life”)
In My Time Of Need (da “Damnation”)
Cusp Of Eternity (da “Pale Communion”)
The Drapery Falls (da “Blackwater Park”)
Heir Apparent (da “Watershed”)
The Grand Conjuration (da “Ghost Reveries”)
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Deliverance (da “Deliverance”)