Ce l’ho fatta!
Stupendo anche me stesso, e contro ogni pronostico, riesco a giungere alla
Tele2 Arena di
Stoccolma senza aver sbirciato alcunché in rete:
setlist, produzione, palco, improbabili
outfit di
Bruce… sorpresa totale!
La speranza, mentre varco la soglia del gigantesco palazzetto, è che tale eroico contegno venga premiato dalla mia
band prediletta, storicamente poco incline ad imprevedibili colpi di teatro e prudente anzichenò in termini di scalette
live.
D’altro canto il tema videoludico del
tour, oltremodo fluido e del tutto slegato da oneri promozionali, suggerisce un cauto ottimismo in termini di chicche per i
fans di lungo corso.
Ma non precorriamo i tempi: prima suonano i…
KILLSWITCH ENGAGESarà che quando il menu prevede i
Maiden come portata principale gli antipasti, al mio palato, risultano sempre insapori, ma sta di fatto che i
Killswitch Engage, tutt’altro che gli ultimi arrivati, non riescono a convincermi sino in fondo.
Il loro
metalcore mai troppo brutale e con un occhio sempre attento alle tessiture melodiche (soprattutto all’altezza dei magniloquenti
chorus, come potrete immaginare) rientra nel novero delle branche
metal che mai hanno fatto palpitare il mio cuoricino.
Sound troppo americaneggiante, troppo “moderno” (virgolette d’obbligo per una compagine fondata quasi vent’anni orsono) per il mio palato retrogrado e stasera affamato di classicità.
Così, in modo sinistramente simile a quanto accaduto con gli
Shinedown ad
Anversa lo scorso anno, mi trovo ad assistere ad una esibizione di apertura alla
Vergine che, seppur valida sotto il profilo esecutivo, scorre senza lasciar particolare traccia emotiva. Proprio come un antipasto ingurgitato per placare i morsi dell’appetito, e non per l’effettivo gusto dello stesso.
Uscendo dalla metafora culinaria: palesa analogo contegno il resto del pubblico, che applaude e incita con sobria moderazione (i giovincelli più degli anzianotti), proprio come ci si aspetterebbe da un’
audience scandinava.
Non si giudicherà un libro dalla copertina, ma con ogni probabilità non aiuta la causa del coinvolgimento una presenza scenica piuttosto disorientante.
Al netto di
Jesse Leach,
frontman scafato e con innegabile
physique du rôle, ci troviamo di fronte a:
- un chitarrista barbuto con bandana ed un batterista che, senza offesa, denotano il carisma di una cassapanca in finto legno;
- un bassista che, per aspetto e movenze, sembra uscito da un gruppo
U.S. thrash di metà anni ’80;
- il restante chitarrista, un cristone in pantaloncini e canotta neri, che si muove in modo così goffo da sembrare
Will Ferrell alle prese con un
mockumentary sulla scena
hardcore newyorchese.
Si poteva far di meglio, se mi è concesso.
Frivole dissertazioni estetiche a parte assistiamo comunque ad un buon concerto, che annovera tra gli
highlights “
My Curse”, gran bel brano che ai tempi del cazzeggio universitario suonavo alla perfezione (sebbene a
Guitar Hero, ma son dettagli), e una godibile
cover di “
Holy Diver”, mossa senz’altro tesa alla
captatio benevolentiae ma godibile nondimeno.
Bravi, ma quest’oggi non molto più che un -pur piacevole- passatempo.
IRON MAIDENAlle 21 in punto, dopo l’immancabile “
Doctor Doctor”, prorompe nell’aere la baritonale voce di
Winston Churchill, che per l’ennesima volta nella sua carriera
post mortem si trova a dichiarar guerra alla
Germania nazista dal palco degli
Iron.
I quali, nel visibilio generale, rispondono prontamente alla chiamata del loro ex primo ministro, palesandosi assieme alla riproduzione di uno
Spitfire e deliziando la
Tele2 Arena con una versione di “
Aces High” un pelo più lenta rispetto a quella in studio, ma comunque incendiaria.
Inizio al fulmicotone, come si scriveva una volta.
Io, tanto per dire, sarei anche a posto così, ma il
sample belligerante e quel fondale innevato… possibile ripeschino addirittura “
Where Eagles Dare”?
Eccome: eccola lì, la leggendaria intro di batteria di
Nicko! Scelta ardimentosa (per non dire suicida) per le corde vocali di
Bruce, che tuttavia sfodera una prestazione da fuoriclasse quale è, così come l’intero sestetto, sinora decisamente in palla.
Gaudio massimo.
È poi la volta del classicone “
2 Minutes to Midnight”, intonata come sempre a squarciagola da tutti i (numerosissimi: oltre 40.000) presenti.
Dopo una breve introduzione di
Dickinson (rimarrà l’unica della serata) tocca a “
The Clansman”, altro ripescaggio da lacrimuccia. Ricordo ancora la mia delusione allorquando lessi che, in occasione della presentazione dell’autobiografia, un
fan scozzese chiese al cantante se avessero intenzione di riproporre il pezzo in sede
live, per sentirsi rispondere con un ghigno sardonico ed un garbato ma netto diniego… ebbene: qui mi sa che
mr. Harris si sia impuntato, e sono lieto l’abbia fatto!
Inizio a riacquisire frammenti di raziocinio dopo la
trance mistica che da sempre mi attanaglia in occasione dei
live della compagine britannica, realizzando così che:
- i volumi sono generosi (chitarra di
Janick a parte, ma ormai ci ho fatto il callo) e piuttosto nitidi (sebbene mai nitidissimi, ed anche a questo ho fatto il callo);
- palco, scenografie ed impianto luci si palesano in tutto il loro splendore canzone dopo canzone;
-
Bruce ha deciso di dare un taglio ancor più istrionico e teso all’intrattenimento del solito: non si contano i cambi d’abito, gli ammennicoli di scena, i siparietti di cui si rende protagonista, donando allo
show una dimensione di spettacolarità mai riscontrata sinora.
Esemplare, a tal proposito, il duello all’arma bianca con
Eddie durante la micidiale “
The Trooper”; d’altra parte il
singer di
Worksop è anche, tra le altre cose, un abile schermidore, ricordate?
Altra sfaccettatura inusuale per i
live dei
Maiden: la suddivisione della
setlist in
concept tematici. Così, dopo una cinquina incentrata sulla guerra, inizia un quadrittico a sfondo religioso.
E quale modo migliore per iniziare detto segmento di “
Revelations”, resa in modo spettacolare e commovente oltre ogni dire?
Senza soluzione di continuità vengono snocciolati due dei migliori episodi
post reunion: il torrenziale sfogo di “
For the Greater Good of God” -sempre divina, tanto per restare in tema, la coda strumentale- e l’inno pagano di “
The Wicker Man”, assolutamente perfetta per la riproposizione dal vivo.
È poi tempo per il secondo, inatteso colpo di coda della bistrattata era
Blaze: “
Sign of the Cross”. Il mio parere è presto scritto: fosse stata cantata da
Dickinson e registrata decentemente, verrebbe considerata uno dei picchi assoluti dell’intero catalogo maideniano.
La teatralità è a mille grazie al suggestivo
backdrop, ad un
Bruce incappucciato simil-
Dance of Death che brandisce una croce luminosa, al sapiente uso dell’effetto nebbia… peccato che, nel bel mezzo della porzione strumentale, il
timing del buon
Nicko si smarrisca nella bruma, così come la chitarra di
Dave Murray, con conseguente spaesamento dei restanti musici, i quali, per qualche interminabile istante, si scambiano sguardi colmi di perplessità, senza riuscire a ritrovare il filo conduttore.
Non senza affanno, i nostri eroi riescono a riallinearsi in occasione della sezione successiva, coi fuochi d’artificio a simboleggiare la salvifica uscita da un
faux pas esecutivo insolito per una
band di questo calibro.
Capita anche ai migliori… ed in effetti, passato l’imbarazzo, i sei trovano anche il modo di riderci su e di concludere il brano in modo perfetto.
Senza intoppi, invece, la gloriosa riesumazione di “
Flight of Icarus”, che non veniva proposta dal vivo dai tempi delle guerre puniche -
Steve l’ha sempre ritenuta troppo lenta e fiacca-.
Mi permetto umilmente di dissentire: il pezzo riesce benissimo, nonostante un
Bruce palesemente “distratto” dal doppio lanciafiamme in dotazione (manco fosse
Till Lindemann).
Le ben note note -polittoto involontario- di “
Fear of the Dark” (con
Dickinson in versione gondoliere fantasma) inaugurano nel modo migliore il segmento conservativo della scaletta.
Sarebbe stato lecito attendersi una terza porzione tematica?
Che so: quartetto a sfondo letterario composto da “
To Tame a Land”, “
The Rhyme of the Ancient Mariner”, “
Lord of the Flies” e “
Murders in the Rue Morgue”? Trittico a tema sogno con “
Infinite Dreams”, “
Wildest Dreams” e “
Dream of Mirrors”?
Direi che in fondo, seghe mentali da
nerd a parte, va bene così. Esistono anche i
fans casual e/o giovani che attendono i classici, e non solo i ferventi cultori della
Vergine come il sottoscritto.
Tra l’altro: non che mi spiaccia ascoltare per la ventinovesima volta dal vivo meraviglie intramontabili del calibro di “
The Number of the Beast” (nonostante qualche piccola sbavatura vocale in chiusura) o “
Iron Maiden”, anzi.
Lo stesso può dirsi dei bis: come lamentarsi di fronte a capolavori assoluti quali “
The Evil that Men Do” o “
Hallowed be thy Name” (per chi scrive LA canzone della
Vergine, fortunatamente ripescata dopo il ritiro delle accuse di plagio da parte dei
Beckett)? Impossibile.
“
Run to the Hills”, leggermente screziata in apertura dalle bizze della chitarra di
Dave -serata poco fortunata per lui- ma comunque splendida, scrive la parola fine.
Esco dalla
Tele2 Arena felice come un bambino al
luna park, consapevole di aver assistito ad uno spettacolo forse non perfetto tecnicamente, forse troppo “
Piece of Mind”-centrico, ma carico di una vitalità, di un dinamismo e di una capacità di coinvolgimento senza pari, oltre che sollevato dalla certezza che non è finita qui:
Firenze,
Milano e
Trieste incombono.
Non vedo l’ora.
KILLSWITCH ENGAGE setlist:
1-
Strength of the Mind2-
A Bid Farewell3-
Life to Lifeless4-
Hate by Design5-
Always6-
My Last Serenade7-
Rose of Sharyn8-
The End of Heartache9-
My Curse10-
In Due Time11-
Holy DiverIRON MAIDEN setlist:
1-
Aces High2-
Where Eagles Dare3-
2 Minutes to Midnight4-
The Clansman5-
The Trooper6-
Revelations7-
For the Greater Good of God8-
The Wicker Man9-
Sign of the Cross10-
Flight of Icarus11-
Fear of the Dark12-
The Number of the Beast13-
Iron MaidenEncore:
14-
The Evil That Men Do15-
Hallowed Be Thy Name16-
Run to the Hills