(13 febbraio 2021) Monografia DARK QUARTERER: una storia EPICO PROGRESSIVA...Da Piombino a Piombino

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DICHIARAZIONE DI INTENTI

Non sappiamo se in Italia ci sia qualche appassionato di metal che non ha abbia sentito nominare i Dark Quarterer; siamo però abbastanza certi che non tutti conoscono la storia di questa band che, non riteniamo di esagerare in proposito, può – e anzi deve – essere annoverata tra le eccellenze del nostro genere preferito (intendiamo in assoluto e non solo ‘limitandoci’ al nostro Paese).
Chi invece è al corrente di vita e miracoli (di morte, fortunatamente, non se ne parla) del combo toscano troverà in questa monografia cose già note; ma ci siamo detti che in fondo un ripasso non fa di certo male, e in ogni caso l’intento prioritario non è mai stato scrivere qualcosa di nuovo o inedito, quanto piuttosto rendere un doveroso omaggio.
Quello che abbiamo cercato di realizzare è infatti un lavoro di rievocazione di un percorso artistico e personale che abbraccia un arco temporale importante (parliamo di quasi 50 anni), ovviamente sintetizzato; e, soprattutto, riconoscere i giusti meriti ad un gruppo che, pur rimanendo sostanzialmente (re)legato ad un ambito definibile ‘di culto’, ha segnato la storia del metal tricolore e non solo, visto che da tempo l’estero ce lo invidia con un entusiasmo forse anche maggiore di quello suscitato in terra natia, almeno fino a qualche anno fa.

Un gruppo che, pur calcando le scene per diversi lustri, ancora oggi è in grado non solo di non perdere colpi, ma anzi di proseguire in un cammino di crescita e di evoluzione pur restando estremamente fedele a se' stesso e alla visione che ha del fare musica.

Un gruppo che, preservando un approccio fieramente artigiano nella maniacalità con cui vengono curati i dettagli e nella rara abilità di trasfondere reale sentimento nelle sue creazioni, non ha mai abbracciato le logiche dell’industria né accettato compromessi.

Un gruppo che, come scrisse nel 1987 Claudio Cubito (non proprio uno qualunque) recensendo il debutto, ha codificato un nuovo sottogenere del metal, l’epic-progressive.

Un gruppo che, in un mondo meritocratico, non avrebbe bisogno di presentazioni; ma visto che non viviamo – se non a sprazzi – in un mondo meritocratico, proviamo a metterci noi una piccola, umile, e comunque insufficiente pezza.

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LE ORIGINI TRA FISICA, TENEBRE E CASCINALI


Il nucleo originario dei Dark Quarterer si forma a Piombino (cittadina in provincia di Livorno, rilevante polo siderurgico ma con origini che affondano le radici in epoca etrusca) nella prima metà degli anni ’70; le cronache narrano che la scintilla primigenia scatta tra Giovanni (Gianni) Nepi, cantante e bassista, e Fulberto Serena, chitarrista, ai quali si aggiunge in un secondo momento il batterista Paolo ‘Nipa’ Ninci, dando vita agli Omega Erre, prima incarnazione della band (anni dopo Paolo Ninci spiegherà in un’intervista che la scrittura corretta sarebbe a tutti gli effetti ΩR, ricorrendo quindi ai caratteri dell’alfabeto greco, perché l’idea era quella di rappresentare parte di una formula che esprime la relazione tra velocità angolare e velocità tangenziale nel moto circolare uniforme).

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Gli inizi, come in molti casi, sono all’insegna della più classica e pura delle gavette: prove, prove e ancora prove, suonando cover di nomi storici della scena hard e progressive rock di quel tempo (dai Led Zeppelin ai Deep Purple, dai Grand Funk Railroad ai Cream, dai Black Sabbath agli Uriah Heep, dai Thin Lizzy ai Cream, dai Gentle Giant ai Jethro Tull: in pratica il meglio di un periodo fondamentale nella storia della musica tutta) e mettendo a punto le rispettive capacità compositive e realizzative.
Il nome Dark Quarterer arriva in un secondo momento, dietro suggerimento di Duccio Marchi (a quei tempi amico e primo sostenitore del trio); la traduzione letterale di Squartatore delle tenebre, che può assumere un doppio significato di “colui che squarta le tenebre” o “colui che squarta nelle tenebre”, denota un’attrazione verso atmosfere sulfuree che effettivamente si ritrovano nelle prime creazioni originali, frutto prevalentemente della penna di Fulberto Serena, fautore di uno stile ricco, ispirato alla musica classica e caratterizzato da tinte oscure.



Dopo un decennio abbondante in cui lo studio teorico e sul campo consente ai tre di consolidare quel bagaglio di cultura e di conoscenze su cui verrà fondata un’intera carriera, nel 1985 vede la luce un demo a cui segue, nel 1987, il debutto omonimo pubblicato da Label Service.

IN QUANTI ESORDISCONO A TRENT’ANNI SUONATI CON UNA CLAMOROSA DOPPIETTA?


Pur penalizzato da una produzione non proprio sfavillante (unico motivo peraltro della dolorosa – e francamente ingenerosa – stroncatura ricevuta all’epoca dalla storica rivista inglese Kerrang!, a cui Duccio Marchi spedì una copia raccomandandosi, nella lettera di accompagnamento, di non valutare il prodotto sulla base della qualità dell’incisione), il disco propone un lotto di canzoni straordinarie, che non tradisce punti deboli: la qualità è di livello superiore e ancora oggi Dark Quarterer viene considerato a buon diritto come il primo esempio di un modo decisamente originale di intendere l’epic metal, perseguito grazie ad un approccio progressivo del tutto inedito rispetto a quello di altri esponenti storici del genere già attivi da più o meno tempo (dai Manowar agli Heavy Load, dai Cirith Ungol ai Virgin Steele, dai Manilla Road ai Warlord) e che, curiosamente, si può ritrovare in un altro folgorante debutto – risalente all’anno successivo (quindi il 1988) – ad opera di un gruppo a sua volta centrale nel nostro panorama metallico: parliamo ovviamente di Irae Melanox dei milanesi Adramelch.



Il nome della band inizia a circolare e nel 1988 la Cobra Records si propone per la pubblicazione del secondo album; vede così la luce The Etruscan Prophecy, che già dal titolo evidenzia il desiderio di riagganciarsi, almeno in parte, alle gloriosi origini della natia Piombino.
Situandosi su coordinate stilistiche tutto sommato affini al precedente (ma beneficiando di una produzione decisamente più adeguata), e da molti ancora oggi indicato come uno tra i migliori lavori a marchio Dark Quarterer, The Etruscan Prophecy è però frutto di un periodo in cui iniziano ad emergere alcuni disagi nel rapporto tra Nepi e Ninci da un lato e Serena dall’altro.



UN ADDIO DOLOROSO, UN BENVENUTO PER PROVARE A RIPARTIRE


In diverse occasioni i primi due hanno ricordato – non quale atto d’accusa ma riportando un semplice dato di fatto – che fu l’allora chitarrista a prendere progressivamente le distanze, lamentando differenze di vedute, tra le altre cose, rispetto all’attività live e alla gestione delle spese, tanto da arrivare nel giro di qualche tempo alla separazione definitiva; inoltre, al netto dello stato di tensione serpeggiante, lo stesso cantante e bassista rammenterà successivamente come durante le registrazioni si trovò a dover affrontare un fastidioso mal di gola – poche cose risultano più sgradite di questa ad un vocalist – che non gli permise di spingere quanto avrebbe voluto e quanto i pezzi avrebbero richiesto per essere valorizzati al massimo (n.d.r. sfido chiunque ad accorgersene ascoltando il prodotto finito, ma il perfezionismo dei nostri è cosa nota).

Fatto sta che dopo essere arrivati nel giro di breve tempo a pubblicare due album – peraltro di enorme bellezza – a coronamento di anni di polvere, sudore e sacrifici, Nepi e Ninci si ritrovano a vivere una situazione di notevole difficoltà, dovuta al fatto di aver perso non solo il chitarrista e principale compositore del gruppo ma anche un amico; a questo punto la differenza può farla solo la ferma volontà di non darsi per vinti, che infatti spinge i due ad andare avanti e a reclutare dopo qualche tempo Sandro Tersetti, piombinese anche lui, chitarrista dallo stile hard-blueseggiante e dunque decisamente distante da quello di Serena.

Gli equilibri adesso sono mutati, con l’onore e l’onere della scrittura che grava sul duo storico e la necessità di armonizzarsi al meglio con un nuovo ingresso che, da par suo, dopo aver percorso una discreto pezzo della sua strada musicale nel ruolo di solista deve abituarsi – specie nelle esibizioni dal vivo – ad affrontare anche le parti ritmiche.

SI ACCENDONO I RIFLETTORI, MA ANCORA NON SI VEDE DEL TUTTO LA LUCE


La svolta, come raccontato da loro stessi, arriva quando il ‘Nipa’, leggendo una rivista musicale, trova un coupon da compilare per partecipare al Festival degli Sconosciuti di Ariccia del 1991, e all’insaputa di Nepi e Tersetti, iscrive la band.
Alla manifestazione, patrocinata da Teddy Reno e Rita Pavone e che vede la partecipazione di artisti espressione di vari generi (dal folk al rock alla classica) che arrivano da tutta Italia, i Dark Quarterer presentano due brani scritti con la nuova formazione e contro ogni aspettativa arrivano primi, conseguendo una vittoria che a ruota porta ad un’esibizione in diretta televisiva sulla Rai.



L’improvvisa conquista delle luci della ribalta conduce, grazie anche agli stessi Teddy Reno e Rita Pavone, alla firma di un contratto con l’etichetta tedesca Inline Music: è il viatico per la realizzazione del terzo lavoro del gruppo.
War Tears viene registrato ad Amburgo, in un contesto nettamente più professionale rispetto a quello dei primi due dischi, sebbene anche a questo giro non manchino le avversità dato che, come si saprà in seguito, proprio durante le registrazioni Paolo Ninci riceve la notizia della scomparsa del suocero.
Al di là di questa triste circostanza, va anche detto che la proposta musicale non risulta del tutto a fuoco; i Dark Quarterer sono ancora alla ricerca di una vera identità e quindi, pur potendo contare su diverse tracce pienamente riuscite, il risultato complessivo sembra a tratti peccare di omogeneità.
A questo si aggiunge l’ulteriore sfortuna legata al fallimento della casa discografica teutonica e al mancato accordo con il possibile distributore italiano, fattori che complicano di parecchio la reperibilità di War Tears, specie – e paradossalmente – nel nostro Paese.



Nonostante tutto i tre non si danno per vinti e, provando a cavalcare l’onda della recente visibilità, si dedicano con energia ad una consistente attività dal vivo, che alimenta la fiamma fino al nuovo colpo di scena: nel 1998 Sandro Tersetti, per motivi sia familiari che di lavoro, prende la sofferta decisione di abbandonare.

NUOVE LEVE E SCELTE CHE CAMBIANO LA VITA


Anche questo ulteriore momento di potenziale crisi si trasforma però in un’opportunità: Gianni e Paolo infatti conoscono già da tempo Francesco Sozzi, allora diciannovenne chitarrista figlio del comune amico Gino Sozzi, figura a sua volta centrale nel panorama musicale di Piombino e dintorni; la differenza d’età è senza dubbio importante ma l’alchimia emerge rapida e non passa molto prima che Francesco venga individuato come la persona giusta per ricoprire il ruolo di nuovo axe-man.
Il suo stile, differente sia da quello di Serena che da quello di Tersetti, caratterizzato da una grande padronanza tecnica e da un tocco più contemporaneo, si rivela del tutto funzionale alla nuova direzione intrapresa dalla band; il risultato è Violence, licenziato nel 2002 dalla Andromeda Relics, a cui peraltro contribuisce in veste di ospite il tastierista Francesco Longhi (l’anno successivo si perfeziona il suo ingresso definitivo nella formazione, che per la prima volta passa a quattro).

Il quarto titolo della discografia si distacca nettamente da tutti i precedenti senza però tradirne lo spirito, e soprattutto evidenzia una cosa: i Dark Quarterer hanno compiuto la transizione e compreso la direzione da seguire.



Non va trascurato un passaggio cruciale avvenuto nel frattempo nelle vite di Nepi e Ninci: nel 2001 i due, assieme a Massimo Bertoncini, aprono una scuola di musica, la Woodstock Academy.
Un vero e proprio salto nel vuoto, rappresentato dalla scelta di rinunciare a ogni precedente sicurezza (Nepi ha recentemente raccontato, in un momento particolarmente toccante della lunga e bellissima intervista che abbiamo avuto il piacere di realizzare pochissimo tempo fa, che sua madre gli perdonò tale decisione solo in punto di morte), ma al contempo la realizzazione di un sogno, quello di vivere di musica e per la musica, di cui i nostri sembrano nutrirsi come fosse cibo, considerando che ancora oggi il loro impegno non si ferma ai Dark Quarterer e all’insegnamento presso la Woodstock Academy (che coinvolge a livello professionale Gianni, Paolo e Francesco Sozzi, mentre Francesco Longhi è un ingegnere civile e ha un suo studio) dato che i vari componenti, a volte insieme e a volte singolarmente, fanno parte anche di altre realtà che spaziano in generi piuttosto distanti dal metal.

La strada è tracciata, ed è una strada che poggia le sue basi su una consapevolezza personale ed artistica giunta alla piena maturità, passando anche e soprattutto da un’ulteriore intensificazione della presenza sui palcoscenici che adesso abbraccia pure alcune date all’estero, dove si riscontra un successo via via crescente nell’ambito di diversi festival internazionali (dalla Germania a Malta alla Norvegia), e dalla ristampa (in momenti diversi e a cura di etichette differenti) dei primi tre album.

SIMBOLI, VIAGGI ED ERUZIONI VULCANICHE


Il fervore creativo, che risulta sempre e comunque incanalato in lunghe sessioni di studio, prove e condivisione, si concretizza nel quinto tassello della discografia: Symbols, uscito nel 2008 per My Graveyard Productions, è un concept ambizioso composto da 6 tracce – ognuna delle quali dedicata ad un personaggio fondamentale nella storia dell’umanità (tra i quali Giulio Cesare, Gengis Khan e Giovanna d’Arco) – che raccoglie consensi unanimi.



L’abbrivio è favorevole e nel volgere di qualche tempo seguono Under The Spell – Live At The Concordi Theatre, prima e ad oggi unica testimonianza su supporto fisico di un concerto dei nostri, e Dark Quarterer: XXV Anniversary, frutto di un imponente e certosino lavoro di riarrangiamento e riregistrazione del debutto con la ‘nuova’ formazione; tutto questo senza che venga meno l’impegno sul fronte live, che trova sfogo non solo in Italia ma porta il gruppo ancora in giro per l’Europa (in Germania, ad Atene, a Londra, in Svezia, a Malta, in Danimarca, a Cipro, in Francia e in Austria).





Arriviamo così all’ultimo lustro o poco più.
Dopo aver ufficializzato il passaggio alla Metal on Metal Records la band entra in studio (non uno qualunque, ma quello creato all’interno della stessa Woodstock Academy, andando di fatto a ‘giocare in casa’) e nella primavera del 2015 vede la luce Ithaca, che si riaggancia per certi aspetti all’approccio seguito nella fatica precedente e propone per altri versi l’esplorazione di nuovi lidi e di nuove soluzioni, a conferma del fatto che per loro l’evoluzione non è un vezzo né uno slogan, ma una vera e propria necessità, un modo – anzi l’unico mododi intendere la musica. In questo caso il filo conduttore è rappresentato dal viaggio, prendendo le mosse dalle peregrinazioni di Ulisse per arrivare, in chiave metaforica, al viaggio che ognuno compie durante l’esistenza.



Il passo successivo (che non sarà certo l’ultimo) risale a pochi mesi fa, per la precisione novembre del 2020.
Accasatisi nel frattempo presso la Cruz del Sur Music, i Dark Quarterer danno alle stampe Pompei, concept basato sull’opera di Alberto Angela Le tre giornate di Pompei; neanche a dirlo il tema trattato è quello della devastante eruzione del Vesuvio che avvenne nel 79 d.C., facente parte dell’immaginario comune e già spunto per innumerevoli esponenti di varie arti.
Fatte le debite proporzioni rispetto ad un mercato musicale le cui dinamiche sono ormai governate da streaming, video e download e ad una fase di estrema difficoltà sociale ed economica legata all’emergenza Covid, il disco è un successo clamoroso in termini sia di vendite che di critica, finendo nelle top ten di tantissimi siti e community metal sia in Italia che all’estero.
Una vera e propria acclamazione a fuor di popolo per un lavoro di straordinario livello qualitativo.



MUSICISTI, UOMINI, E UN BREVE ANEDDOTO


Proprio in relazione alla pandemia va ricordata l’ultima iniziativa del combo toscano, risalente a pochi giorni fa (rispetto alla data di stesura): la riproposizione dal vivo – naturalmente e purtroppo senza pubblico – dell’intero Pompei all’interno del Teatro Metropolitan di Piombino, con la totalità dell’incasso del concerto (reso disponibile per 24 ore su Bandcamp) devoluto proprio allo stesso Teatro, a rischio di chiusura in considerazione del perdurante blocco delle attività culturali e musicali dal vivo.
Un gesto reale, concreto, sentito, necessario ma non scontato, se vogliamo anche simbolico (proprio al Metropolitan la band aveva esordito dal vivo nel lontano 1974 partecipando ad una rassegna musicale riservata agli studenti delle scuole superiori), che ha preso forma in una performance magistrale per intensità emotiva e professionalità delle riprese all’interno di una location resa al tempo stesso suggestiva e struggente dall’assenza di spettatori in platea.

Come avrete compreso, siamo fondamentalmente arrivati alla conclusione.
Non è facile trovare una chiusa adatta, perché scrivere dei Dark Quarterer è stato per noi non solo un dovere – alla luce di ciò che rappresentano e che non può non essere loro riconosciuto – ma un vero piacere.
Il nostro desiderio è restituire almeno in parte a questi incredibili musicisti – tra i migliori del panorama nazionale nei rispettivi ruoli e strumenti, su questo siamo disposti a mettere entrambe le mani sul fuoco – quello che ci hanno donato.
La nostra speranza è aver raccontato in modo compiuto, per quanto inevitabilmente non esaustivo, il percorso compiuto da un manipolo di uomini (comprendiamo qui anche tutti coloro che hanno operato dietro le quinte e che hanno contribuito con il lavoro, la presenza, il supporto) che, prima ancora dell’essere artisti, sono persone eccezionali nella loro normalità.
Persone che, quando gli si domanda se hanno rimpianti per non aver conseguito un successo più ampio ed essere rimasti sostanzialmente confinati in una dimensione ‘underground’, rispondono che l’unico rimpianto è quello di aver suonato dal vivo meno di quanto avrebbero voluto (!).

Ma prima di salutarci sul serio ci tengo a riportare un breve aneddoto a coronamento e conferma del tutto (parlo per la prima volta al singolare perché mi riguarda personalmente).

Siamo nei primissimi anni del nuovo millennio, scusate se non sono più preciso ma la memoria fa difetto; non ricordo dove e come – del resto la memoria è sempre quella di prima – fatto sta che mi imbatto in un articolo che parla in termini lusinghieri di questi a me sconosciuti Dark Quarterer (tenete conto che a quell’epoca internet esisteva già, ma ci si viaggiava con il modem a 56k e di certo non era minimamente paragonabile alla rete immensa e a volte anche pervasiva che conosciamo oggi).
Leggo di metal epico, oscuro, progressivo e si accende la curiosità; riesco a trovare un indirizzo mail al quale scrivo chiedendo dove poter acquistare Dark Quarterer e The Etruscan Prophecy.
Ribadisco – soprattutto a beneficio di chi non li ha vissuti e quindi fa fatica a rendersi conto – che quei tempi non erano questi tempi: non esistevano anticipazioni, YouTube, Bandcamp, i dischi si compravano in base alle recensioni e/o ai suggerimenti degli amici, dunque non avevo una reale idea di cosa sarebbe arrivato e di cosa avrei trovato tra quei solchi.
Non rievocherò qui la gioia regalatami dalla dedica autografata da Nepi e Ninci, né la folgorazione provata al primo ascolto, quanto piuttosto quello che accade qualche giorno dopo aver ricevuto i cd.
È un tardo pomeriggio e sono appena uscito dalla doccia dopo essere rientrato dal lavoro; sento che mio padre prende una telefonata e, passato qualche istante, bussa alla porta del bagno porgendomi il cordless: “C’è un tuo amico, non mi ha detto il nome”.
Mezzo dubbioso e mezzo curioso mi propongo con un timido: “Sì, sono Diego” … E da una distanza che in quel momento è insieme di 400 chilometri e di 40 centimetri, mi arriva in risposta: “Ciao Diego, sono Gianni, ho trovato il tuo numero di telefono risalendo dall’indirizzo sull’elenco telefonico … Hai ascoltato i dischi? Che te ne pare?”.

C’è bisogno di raccontare i brividi di emozione provocati da quel piccolo, grande gesto?

IL NOSTRO GRAZIE … FINO ALLA PROSSIMA VOLTA


Persone, dicevamo.
Due di loro, Gianni e Paolo, hanno sgomitato nell’ombra per 20 anni abbondanti prima di iniziare ad avere un ritorno rispetto ai sacrifici, alla gavetta, alle delusioni, alle difficoltà; altri due, Fulberto e Sandro, in momenti differenti hanno condiviso con i primi un pezzo di strada decidendo a un certo punto di prenderne un’altra, ognuno per motivi suoi, non prima comunque di aver fornito un apporto fondamentale e che non va dimenticato; gli ultimi due, Francesco e Francesco, si sono aggiunti a metà del cammino, sono cresciuti e hanno favorito a loro volta la crescita dei pionieri e fondatori, in un mutuo scambio che va ben oltre lo spartito, la sala prove e il palco.

Insieme hanno dato vita a un gruppo che ha fatto la storia e che ha scritto una storia.
Una storia di note e di sentimenti all’insegna della costanza, della passione, della convinzione, della fede nel metal inteso non come ‘semplice’ genere ma come modo di fare musica (e in realtà di affrontare la vita stessa) che passa dalla capacità di evolversi e trasformarsi pur mantenendo salda un'identità e soprattutto che, citando le parole degli stessi Dark Quarterer, “non tradisce l’ascoltatore ma anzi ne rinnova ogni volta l’emozione, la partecipazione, l’energia”.

Signore e signori, tutti in piedi e in alto le mani: che parta, finalmente, la standing ovation.
Report a cura di diego

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 03 mar 2021 alle 19:25

L'aneddoto della telefonata è fantastico, fosse successo a me sarei rimasto di sasso! Ti confermo che ci rimasi anche io di sasso! :)

Inserito il 02 mar 2021 alle 20:01

Grazie ancora, mi fa molto piacere che vi sia piaciuto :)

Inserito il 01 mar 2021 alle 20:57

Bellissimo articolo, appassionante ed emozionante, proprio come la storia dei Dark Quarterer, band unica nel suo genere e vanto per il nostro paese! Complimenti Diego!