Bulldozer: We Are Fucking Italian!!!

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Quello che segue è il resoconto della chiacchierata che ho fatto con A.C. Wild, voce, bassista e leader dei Bulldozer, qualche ora prima della loro esibizione all’Armageddon In The Park. Mi è capitato di intervistare diversi personaggi nel corso della mia misera carriera di scribacchino, però devo ammettere che, essendo un fan della band milanese fin da ragazzino, l’intervista al singer meneghino mi ha riempito di soddisfazione, anche perché davanti a me ho trovato un personaggio molto particolare. Loquace, disponibile, pienamente convinto delle proprie idee, A.C. non si è di certo risparmiato, parlando senza problemi, e con convinzione, del presente, del passato e del futuro dei Bulldozer. Questo è quanto ha detto ai microfoni di Metal.it.

Iniziamo parlando dell’ultimo album, visto che è passato un anno esatto dalla sua uscita. Ti va di tirare un po’ le somme? Siete soddisfatti del responso dei fans e dei media?
L’album è uscito in Italia e in Europa con la Scarlet, poi è stato ristampato in Brasile, in Russia e in Giappone, e poi è stata pubblicata la versione in vinile, che si distingue dal cd per una scelta di suoni differenti, secondo me più belli. Per adesso è andato discretamente, ha venduto quello che ci aspettavamo che vendesse…
Anche io sono pro vinile. Spiega però ai nostri lettori perché i suoni secondo te sono più belli…
Perché abbiamo usato un sistema analogico, quindi i suoni sono più caldi. Il master non è stato masterizzato come se fosse un cd, in cui i suoni vengono compressi e trattati digitalmente. Noi abbiamo preso il master nudo e crudo, appena stampato, e l’abbiamo masterizzato analogicamente, quindi suona più caldo, più dinamico, e questo con un buono stereo si nota.
I brani presenti sul disco sono stati composti per l’occasione o avete rispolverato vecchie canzoni rimaste fuori dai vecchi dischi?
Praticamente si tratta quasi interamente di roba vecchia. Di nuovo puoi ascoltare un brano che è stato composto prima di iniziare le registrazioni, e qualche arrangiamento qui e lì. Sennò si tratta di materiale vecchio, risalente all’‘89/’90, quando dovevamo registrare il successore di “Neurodeliri”, che però poi non è mai uscito. I testi invece sono stati tutti scritti appositamente…
A proposito dei testi… C’è un brano in particolare che mi ha colpito e sul quale vorrei tu spendessi qualche parola, e cioè “Micro V.I.P.”, che forse racchiude meglio delle altre la vostra ormai proverbiale ironia…
Beh, il pezzo tratta di un fenomeno molto attuale. Ci sono decine o centinaia di milioni di persone che spendono ore ed ore della giornata in rete nei social network per sentirsi importanti. Io l’ho messa un po’ sul ridere, però purtroppo è una situazione che in molti casi è quasi drammatica, perché la gente cambia personalità, si rincoglionisce. Ci sono proprio dei casi di famiglie rovinate… Ci sono delle persone che solo per avere un sito su MySpace pensano di essere chissà chi, e questo è l’aspetto comico del tutto, però c’è anche un aspetto drammatico, ma nessuno ne parla.
I testi però in linea di massima mi sono sembrati un po’ più seriosi che in passato. È un aspetto legato al fatto che non siete più giovani e affrontate il tutto con un’ottica differente?
No, diciamo che ho sempre usato un po’ il sarcasmo e l’ironia, ed anche adesso ci sono testi di questo tipo, però se ci pensi già in “Neurodeliri” c’erano pezzi più drammatici. La stessa “Minkions” era drammatica, anche se apparentemente sembra un brano comico. Parla di una band trasformata in burattini, in schiavi del mercato, semplici macchine da soldi. E di come vengono visti gli italiani all’estero. Se leggi le recensioni tedesche della nostra performance al Rock Hard Festival alcuni dicono: “Lo sapevate che c’è una scena thrash in Italia? Non lo sapevamo mica…”. Ti rendi conto? C’è una sorta di pregiudizio che li porta a trattarci come se fossimo il terzo mondo. Già succedeva allora, ma ora le cose non vanno poi tanto meglio. Tornando ai testi, “Unexpected fate”, per esempio, riprende il tema di “The Death of Gods”, l’ultimo pezzo di “Final separation”. Pezzi seri ne ho sempre scritti, ogni tanto la metto un po’ sul ridere, ma in fondo con l’ultimo album mi sono comportato un po’ come in passato.
Mi puoi parlare brevemente delle collaborazioni con Jennifer Batten, Kiko Loureiro, Olaf Thorsen e Andres Rain, e soprattutto Billy Sheehan? Sono artisti molto distanti dal vostro stile musicale, direi quasi agli antipodi… come mai avete scelto proprio loro?
Beh, qui entra in gioco l’amicizia. Ho avuto modo di conoscere Jennifer Batten penso nel ’91, ad una sua clinic, quando suonava ancora con Michael Jackson. Mi ha colpito come lei conoscesse tutte le tecniche chitarristiche. Spiegava come suonava Pat Metheney, come suonava Randy Rhoads, aveva una padronanza dello strumento pazzesca, ed una gran cultura musicale, oltre ad essere molto simpatica. Siamo rimasti amici, e quindi le ho chiesto se voleva suonare qualche assolo per noi, proprio perché sapevo che poteva adattarsi a qualsiasi genere, grazie al suo talento. E così è venuta in Italia e l’ha fatto. Kiko Loureiro lo conosco da tanto perché come editore avevo dato una mano agli Angra in passato, quindi ha subito accettato la cosa. La sorpresa invece è stata la partecipazione di Billy Sheehan. Io avevo prodotto dei dischi di musica classica una decina di anni fa, e lui è un grande appassionato di questa musica. Un’amica comune gli aveva parlato di me e gli aveva detto che faccio delle cose un po’ strane, facendolo incuriosire. Mentre stavamo registrando lui era a Milano, perché è sposato con una milanese, e circa un mese all’anno lo passa nella nostra città, quindi quasi gratuitamente ha inciso le sue parti. Sostanzialmente comunque si è trattato di amici che lo hanno fatto per stima, come Olaf e Andrea, i due chitarristi dei Labyrinth. Calcola che sono tornato sul palco nel 2004 a Tokyo, e ho fatto un pezzo proprio grazie a loro. Erano quindici anni che non lo facevo, ed è stato un po’ l’input che ha scatenato poi il tutto.
Proprio relativamente a quel concerto, di cui gira anche un video, volevo chiederti: come mai lì hai suonato anche il basso mentre adesso dal vivo hai scelto di cantare solo?
Nell’album ho suonato anche il basso. Le parti di cantato di quest’album sono più difficili rispetto a quelle dei vecchi dischi, e soprattutto non vanno insieme alla ritmica del basso, hanno due linee ritmiche diverse, quindi dovrei esercitarmi un paio di ore al giorno per riuscire a cantare e suonare contemporaneamente, e non ne ho il tempo. E poi comunque non riuscirei ad usare i polmoni al massimo se dovessi suonare anche il basso, quindi, parlando con Andy, siamo arrivati alla conclusione che conviene che io canti solo.
Cos’è in particolare che vi ha spinto realmente a tornare? Avevate sempre detto che preferivate lasciare il nome Bulldozer a riposo…
Son tante cose… Io facevo da tour manager ai Labyrinth, e mi invitarono di nuovo sul palco per fare “Minkions” e la cover di “Overkill” dei Motorhead, e mi è venuta un bel po’ di nostalgia. Quando facemmo “The derby”, la prima volta, si trattava di un pezzo relativamente semplice. “Minkions”, invece, ha un riff abbastanza particolare, ed effettivamente suonato da Andy ha un qualcosa in più, ha un sapore diverso, quindi quando sono tornato in Italia l’ho chiamato e abbiamo iniziato a provare. All’inizio era un disastro, poi pian piano siamo tornati in forma. Inoltre dopo aver visto la copertina di “IX” utilizzata per un artwork di una locandina propagandistica di terroristi arabi, non voglio neanche citarli, sono rimasto stupito. In quella copertina c’è un dettaglio abbastanza inquietante, vedere che questa organizzazione l’ha utilizzata nel 2007, quindi ventuno anni dopo, mi ha colpito, e mi è venuta la voglia di scrivere qualcosa su questa cosa qui.
Visto l’alone di leggenda che ruotava intorno al vostro nome, a distanza di un anno pensi che avete fatto la scelta giusta tornando o era meglio lasciare il moniker Bulldozer nel limbo dei grandi?
Io e Andy ne abbiamo parlato, e abbiamo fatto delle scelte molto precise. Innanzitutto il fatto di utilizzare dei pezzi originali dell’epoca, scritti in quel periodo lì, per me era già una garanzia. Io non ho seguito con passione il metal negli anni ’90 e 2000, il nu metal e tutte quelle cose artificiose non mi hanno mai appassionato. Son rimasto a “Reign in blood” in pratica, mi piace il suo approccio molto umano e poco macchina, invece negli anni ’90 è diventato tutto sempre più finto, molti campioni, suoni digitali, tutto fatto al computer. Anche gli stessi Slayer sono diventati un po’ più moderni, non c’è più quell’elemento umano che ha reso celebre alcuni dischi dell’epoca, come “Black metal” dei Venom, un disco suonato male, ma che però è assolutamente storico… “Reign in blood” ha le sue imperfezioni, ma non c’è disco che secondo me ha la stessa grinta e lo stesso tiro. Quindi abbiamo deciso di dimenticare completamente tutto quello che è successo negli anni ’90 e provare con i mezzi di oggi a fare un album che avesse il gusto di una volta, e secondo me è venuto fuori qualcosa di interessante. Certo abbiamo rischiato, ci siamo tenuti tutte le imperfezioni, però si sente che è un disco suonato. Quando tu ascolti i Bulldozer dal vivo, ascolti sostanzialmente gli stessi che ascolti su disco. Noi abbiamo una continuità… E cmq abbiamo voluto rimanere noi stessi, non abbiamo voluto fare un album per quelli che seguono le nuove tendenze, ce ne siamo altamente sbattuti…
Come mai Rob Cabrini non ha partecipato alla reunion? Motivi musicali o personali?
Sostanzialmente per problemi fisici. In questi anni è ingrassato molto, quindi non ha più l’agilità di una volta.
Quindi nessun motivo personale, scazzi o cose del genere…
Nooo, assolutamente…
E Don Andras invece?
Ogni tanto lo sento, siamo in buoni rapporti, ma niente di più… Lui non suona più da anni ormai…
Secondo te quanto sono stati importanti due personaggi come Alex Vicini ed Aristodemo nel mantenere vivo il vostro nome durante la vostra assenza? (Il primo mastermind della Warlord Records, il secondo curatore per anni del sito non ufficiale della band, n.d.r.)
Decisamente molto… Alex è un amico di vecchissima data, calcola che il primo album dei Deathrage (il gruppo di Alex, n.d.r.) l’ho prodotto io. Abbiamo anche fatto il servizio civile insieme. Quando abbiamo smesso lui ha continuato a tenere alto il nostro nome. Demo non l’ho mai conosciuto per anni, l’ho conosciuto poco prima della nostra prima data della reunion. Però ha fatto un lavoro pazzesco, ha aperto un sito su di noi, oltre che una pagina Facebook dedicata a noi.
Uno degli aspetti più singolari che si è notato da quando siete tornati on the road è che ogni volta parte dei proventi dei concerti ai quali partecipate vengono destinati all’Unicef. Ti va di spendere due parole su questa cosa?
È una scelta che abbiamo deciso di fare. Sono sostenitore dell’Unicef anche da prima. Se si guarda la copertina di “Unexpected fate”, se si legge il testo del brano, c’è un tema che tra l’altro è ripreso da “The Death of Gods”, ultimo brano di “The final separation”, quindi è un argomento che avevo lasciato in sospeso, e che ho ripreso adesso. È un gesto che oltre ad essere utile, è un qualcosa che fa comunque pensare la gente…
È un vincolo che ponete quando vi contattano per suonare dal vivo oppure no?
No, non è un vincolo, però quando possiamo lo facciamo, quasi sempre. Certo quando abbiamo suonato con i Motorhead non ci hanno pagato, quindi non abbiamo potuto avanzare questa richiesta, però quando siamo saliti sul palco ho messo comunque fuori la bandiera, per sensibilizzare il pubblico. Se qualcuno voleva fare una donazione ha potuto farlo. Non siamo fossilizzati su questa cosa, è il concetto che conta…
E di festival underground come l’Armageddon In The Park che mi dici? Secondo te si riesce ancora a respirare la vera essenza del metal, lontano da interessi di mercato e di sponsor?
Sono delle belle situazioni che cerchiamo di avallare compatibilmente ai nostri vari impegni. Io purtroppo per vari motivi non riesco a suonare più di tanto. Per cui tra le tante offerte che ci vengono fatte devo fare una specie di selezione. Prima di accettare di partecipare a questo festival abbiamo parlato con i Necrodeath, che sono stati qui l’anno scorso e sono rimasti molto contenti, quindi ci siamo detti: “Perché no…”. E poi non abbiamo mai suonato così a sud, per cui è stata una bella occasione.
Brevemente… cosa c’è ora nel futuro dei Bulldozer? DVD, cd live, nuovo album…
Adesso stiamo pensando un po’ al da farsi. Abbiamo registrato con un multitraccia il concerto dello scorso Rock Hard Festival. Ci hanno appena consegnato il materiale, non sappiamo ancora cosa ne uscirà fuori, però l’intenzione sarebbe quella di pubblicare un live album con le registrazioni di quello show. Poi forse registreremo qualcosa in Giappone, e sicuramente riprenderemo un live in Polonia l’anno prossimo, che probabilmente la Metal Mind pubblicherà su DVD. Intanto lo registriamo, poi decidiamo cosa fare…
Una domanda stupida ed ironica… Da giovani vi siete sempre dichiarati grandi fruitori del porno, quindi, dopo le leggendarie canzoni dedicate a Cicciolina, qualcuno magari poteva aspettarsi un rinnovamento, con una song dedicata, chessò, a Jenna Jameson… Siete cresciuti e quindi non seguite più quel mondo come allora o cosa?
Devo essere sincero… il porno di allora era sorprendente, perché tu devi immaginarti la situazione… nei primi anni ’80 spopolava Ilona Staller, bella, nuda, provocante. Come per il gruppi musicali, teoricamente lei era la preda che nessuno poteva toccare. Invece questa qui andava contro ogni regola, e cosa faceva? Si buttava in mezzo al pubblico combinandone di cotte e di crude, una cosa assolutamente fuori dal normale. E si è perfino fatta eleggere in parlamento… Quello di cui ho parlato nei due pezzi dedicati a lei è la descrizione fedele del suo personaggio e di quello che era. Adesso il mondo del porno è un’industria finta, dove trovi tutto di tutto, non c’è più stimolo…
Come per il metal…
Bravo… come dicevamo prima per il metal, è tutto finto, tutto calcolato, per cui chiunque può fare il porno attore con le pastiglie e gli aiutini…
A questo punto non mi resta che ringraziarti e chiederti di salutare i lettori di Metal.it…
Beh, non voglio fare proclami particolari… Intanto grazie a te per le domande e a Metal.it per lo spazio che ci ha concesso. Spero che vi sia piaciuta l’intervista. Ci sentiamo presto… e un saluto e un augurio per il futuro.
Intervista a cura di Roberto Alfieri

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