Sono passati dodici anni dalla mia prima intervista con I My Dying Bride, era il 1996 ed era uscito Like Gods of the Sun. Li ritrovo adesso con A Map of All Our Failure, nerissimo nuovo album, che recupera il suono delle origini, sostituendo i richiami death con uno spiccato accento doom, lentissimo e pesantissimo come pietre che vengono lasciate cadere una alla volta sulla vostra anima. Una sterzata radicale dopo Evinta del 2011, esperimento, che personalmente ho apprezzato moltissimo, di musica eterea e sinfonica con le sue piece per archi, pianoforte e doppia voce, maschile e femminile. Facciamo il punto della situazione con Andrew Craighan, storico chitarrista e compositore principale della band.
Parliamo della genesi del nuovo album…
Quando
Evinta era appena uscito, stavamo già componendo materiale per l’album successivo. E stavolta avevo un’idea molto precisa di cosa avremmo fatto. Inizialmente sono andato con Hamish nel mio piccolo studio casalingo e abbiamo iniziato mettendo giù del materiale che è subito risultato soddisfacente. Fin da subito siamo stati d’accordo che il nuovo lavoro avrebbe dovuto essere desolato e tormentato, perché queste erano le sensazioni che si erano fatte strada componendo. Abbiamo continuato a lavorarci su, includendo anche la batteria in qualche occasione, per capire quale sarebbe stato il risultato completo. Sentivamo che dovevamo spogliare la musica di tutto ciò che non fosse assolutamente necessario, ridurla all’essenziale, per mantenere questo sentimento di freddo e vuoto. Desideravamo fortemente creare qualcosa che risultasse nuovo nella sua desolazione, non eravamo interessati ne a “progredire”, come pare essere il trend attuale, ne a risultare radio friendly o pop metal per ampliare l’audience. Volevamo l’album più angosciante che potessimo fare e avremmo accettato le conseguenze, se non fosse stato capito dagli ascoltatori. Con questo nero modello in mente, abbiamo continuato a comporre.
Infatti la vostra definizione è stata “una demolizione controllata di tutte le vostre speranze”. Quindi: A Map of All Our Failure, ovvero una mappa di tutti i nostri fallimenti…
Il titolo dell’album è stato un po’ una sorpresa, perché mentre componevamo non ci è mai sembrato adatto, se non come titolo di uno dei brani. Ma andando avanti quella che ora è la title track si è sempre più definita e al momento di scegliere un nome per l’album quel titolo e quel brano sono sembrati la somma delle atmosfere della vita artistica dei My Dying Bride, tanto cupi e tristi quanto aveva senso per noi. Siamo stati tutti d’accordo per sceglierlo.
Da dove nasce l’idea di parlare del personaggio di Ulisse (Odysseus NdR)?
Mi è venuta in aereo qualche anno fa, tornando indietro dalla Grecia, dove avevamo suonato. Mentre bevevo un drink, ho improvvisamente pensato al viaggio di Ulisse ed ho cominciato a svilupparlo mentalmente; ma più andavo avanti e più lo cambiavo in quello che è diventato nella canzone. L’ho scritto direttamente lì sull’aereo e l’ho mostrato a Hamish e Aaron (seduti comodamente dietro di me), che sono stati d’accordo sull’utilizzarlo per un pezzo. Non abbiamo solo ricreato il mito e scritto una canzone ma abbiamo riscritto il mito e gli abbiamo dato un finale che nessuno si aspetterebbe.
Nel corso degli anni il modo in cui componete un nuovo album è cambiato o è rimasto invariato?
Adesso componiamo molto di più ciascuno per conto suo, poi portiamo le parti migliori quando ci riuniamo con gli altri per concretizzarle o eliminarle, se è il caso. Ci incontriamo ancora per suonare tutti insieme e testare il feeling dei pezzi e da queste sessioni escono delle ottime idee ma il 99% di quello che scrivo è fatto indipendentemente dal resto della band adesso.
Ad oggi Evinta e 34.788% Complete sono gli albums in cui avete sperimentato qualcosa di radicalmente diverso dal vostro stile. Dobbiamo considerarli un unicum?
No, non direi. Abbiamo tentato nuove cose di tanto in tanto e non è detto che non potremmo provare qualcosa fuori dai nostri schemi in futuro. Non penso che faremo un altro
Evinta o un
34.788% Complete ma ci sono altre strade da percorrere. E’ vero che abbiamo mantenuto un nostro stile riconoscibile, senza cambiarlo come hanno fatto nomi come Anathema o Paradise Lost ma questo è perché è quello che ci piace più di tutti. Adoriamo la sua oscurità e pomposa tristezza. Come ti dicevo prima, non ci importa se in questo modo non allarghiamo il nostro pubblico; continuiamo ad avere dei normali lavori che ci danno da vivere e va bene così.
Una curiosità per i lettori: come mai sceglieste proprio il nome My Dying Bride quando avete iniziato?
Volevamo un nome che non suonasse ridicolo dopo venti anni e più e volevamo che ci distinguesse da tutte le altre bands. E quale migliore di questo? Basta fermarsi a pensare per un secondo a cosa significa My Dying Bride.
Quanto lo Yorkshire con i suoi particolari paesaggi ha influenzato la vostra musica?
Di sicuro lo Yorkshire ha una sorta di grigia influenza sulla nostra musica; è un posto desolato e battuto dal vento nella brughiera ed alcune delle vecchie città sono sinistre e cariche di inquietudine. E’ anche un luogo bellissimo in determinati periodi dell’anno; noi abbiamo focalizzato gli aspetti più cupi. Anche il tempo gioca una grande parte con i giorni grigi e piovosi che tendono a scoraggiare ogni vibrazione positive. Non riesco ad immaginare questo tipo di doom venire dalla Florida o dalla Toscana, tanto per dire. C’è semplicemente una mentalità diversa.
Come avete scelto a suo tempo Dave McKean per la copertina di Symphonaire Infernus et Spera Empyrium e As Flower Withers? Eravate lettori dei suoi fumetti?
Lo scegliemmo perchè uno dei numeri del fumetto Sandman (di cui McKean ha fatto tutte le copertine NdR) raffigurava una donna con il volto velato e ci sembrò perfetta per noi. Così parlammo con la Peaceville che gli chiese se fosse interessato e lui ne fu entusiasta, perchè non aveva mai creato l’artwork di una band fino ad allora. Sfortunatamente poi è diventato inflazionato nella scena metal, tutti volevano avere un suo lavoro, ed a noi sembrò che si perdesse quella sensazione di unicità. E’ stato un peccato ma lo capiamo perfettamente.
Un tuo giudizio sulla scena metal attuale?
Non è tanto male ma ho l’impressione che molte di queste bands siano come comete che bruciano luminose per qualche secondo e poi scompaiono. Nessuno ha la volontà di affrontare la situazione e sostenere una band per permetterle di tentare una lunga carriera. La società in Inghilterra, come, sono sicuro, anche nella maggior parte dei paesi dominati dalla televisione, è in rovina e il tempo medio di attenzione della gente è prossimo allo zero. Le bands soffrono per la scarsità di pubblico ai concerti e per le basse vendite di dischi. Musicalmente ci sono ancora buone bands che stanno uscendo, ma non tutte rientrano nei miei gusti musicali. Non mi piace questa specie di codice morse applicato al metal che sembra essere così popolare. Suppongo che la mia età cominci a farsi sentire nel non capire quello che mi sembra solo rumore, suonato dalle giovani bands ;-)
Quando abbiamo iniziato tutto ciò che avevamo erano fanzine fotocopiate dai fans; scambiavamo cassette con persone di altri paesi, chiedendo indietro i francobolli, perché non avevamo soldi; chiedevamo a gruppi di amici di venire ai nostri concerti il più numerosi possibile e loro lo facevano, portandosi dietro altra gente. Avevamo una vera scena. E’ troppo semplice adesso trovare qualunque cosa su Google, scaricarla gratuitamente e poi cestinarla.