Sarà anche una banalità, ma questo è il disco metal più atteso dell'anno. I Black Sabbath propriamente detti non facevano uscire un album da studio dal 1995, quando dietro il microfono c'era Tony Martin e Tony Iommi era l'unico superstite della formazione originale. “Forbidden” non piacque proprio a nessuno, nel giro di qualche anno arrivò la reunion della prima line up con Ozzy, un disco dal vivo, un paio di pezzi inediti, la presenza pressoché fissa nell'ambito dell'Ozzfest. Poco altro, per il resto. I Sabbath sembravano diventati un pezzo da museo, perennemente chiamati a celebrare la loro storia, ma non più in grado di aggiungere ulteriori tasselli alla loro discografia.
Oggi le cose sono cambiate. E' vero che tecnicamente parlando questi quattro signori si chiamano “Heaven and Hell”, ma è innegabile che dietro di loro ci siano i Black Sabbath Mark II, quelli con Ronnie James Dio alla voce, talmente diversi dalla prima incarnazione del gruppo, che viene quasi da pensare che sia stata una decisione saggia l'aver utilizzato un altro monicker.
E allora, due anni dopo averli ammirati sul palco del Gods of Metal, ecco arrivare “The devil you know”, il nuovo lavoro in studio di questa formazione.
Tengo subito a precisare che non farò nessun paragone con i due capolavori “Heaven and Hell” e “Mob rules”. Quelli sono dischi inarrivabili, sono da tempo pezzi di storia e credo che nessuno, nemmeno la stessa band, si sia posto l'obiettivo anche solo di eguagliarli.
Ma se il marchio di fabbrica è sempre quello, se i riff di Tony Iommi sono oscuri e pesanti come al solito, se la voce di Ronnie è come al solito spaventosa, per nulla sfiancata dal passare degli anni, se la produzione è al passo con i tempi come ci si aspettava, non si può negare che l'ispirazione e la spontaneità si siano persi per strada. Lo ripeto, nessuno si aspettava un capolavoro, ma nemmeno che musicisti di questa caratura e personalità decidessero di giocare sul sicuro confezionando un disco contenente tutti, ma proprio tutti gli elementi del loro stile, che però in definitiva suona come una qualsiasi band influenzata dai Black Sabbath di inizio anni '80. Prevedibile, dannatamente prevedibile, con quei riff plumbei e massicci, quei ritmi lenti e cadenzati che non disdegnano qualche accelerazione improvvisa, con quelle linee vocali drammatiche e solenni. Tutto formalmente perfetto, ma nulla che faccia davvero vibrare le corde dell'anima. L'ho ascoltato parecchie volte, "The devil you know", e ogni volta mi ha dato delle buone sensazioni, ogni volta mi è sembrato un lavoro di pregevole fattura. Ho scoperto però che non mi rimaneva assolutamente nulla nella testa: nessun riff, nessun cantato, nessun cambio di tempo improvviso, nessuna intuizione geniale. Assomiglia un po' a "Dehumanizer", questo ricalcare pedissequamente un modello predefinito; con la differenza che quel disco viveva di gran bei momenti, che andavano agevolmente a staccarsi dalla massa informe delle altre canzoni. Come allora, anche qui non c'è niente da buttare via; ma diversamente da allora, non c'è nemmeno qualcosa che valga la pena ricordare. Forse la sola "Bible black", con quell'inizio arpeggiato che ricorda un po' "Children of the sea", e che ne ripropone un po' le atmosfere epiche e maestose. Oppure le più veloci "Eating the cannibals" e "The turn of the screw"; quest'ultima in particolare, sostenuta da un basso poderoso di Geezer Butler, è anche il pezzo più heavy di tutto il lavoro. Ma anche così appare un po' troppo poco. "Atom & Evil" è l'opener perfetta, un brano che funziona ma che ha anche l'aria di essere stata scritta ad occhi chiusi, senza troppo sbattimento. Arrivati alla fine, dopo la lunga e pesantissima "Breaking into heaven", viene da pensare che i quattro abbiano semplicemente obbedito ad indicazioni di mercato che reputavano necessario avere un prodotto nuovo da promuovere, se si voleva imbarcarsi in un ulteriore tour.
Non è una stroncatura (la sufficienza piena la raggiunge senza problemi, e non in virtù del glorioso passato), ma non è questo il disco da citare se si vuole dimostrare che le vecchie generazioni di metallari hanno ancora molto di più da dire rispetto alle nuove. Se ci fosse ancora qualcuno che non sapesse chi sono questi signori, consiglio l'acquisto di "Heaven and Hell", "The mob rules" e "Holy Diver" (l'esordio solista di Mr. Dio, uno di quei dischi da avere senza se e senza ma), oltre naturalmente al recente doppio cd/dvd dal vivo.
Con questo ho detto tutto: sarò presente quest'estate al Gods of Metal, perché avere di nuovo la possibilità di rivedere gente così in azione è una cosa di cui ringraziare Dio. Spero però che il dovere promozionale si limiti a un paio di brani di questo album, non uno di più...