I britannici
Moss da tempo si sono ritagliati il loro spazio nell’underground più estremo, grazie ad un marcio e catacombale sludge-drone doom dallo spessore impenetrabile. Caratteristica del trio, il rifiuto pressoché totale della forma canzone. Fatto che si conferma anche nell’ultimo lavoro, un Ep di soli quattro brani ma della durata di quaranta minuti.
Riffs melmosi ed ossessivi all’inverosimile, ritmica lumachesca e raggelante, voci direttamente dall’abisso, cavernose oppure stridenti e deliranti, riverberi minimali ed instancabili. Prendere o lasciare.
Inutile cercare dettagli o sfumature, l’unico modo per entrare in contatto con i Moss è immergersi nelle loro atmosfere occulte, maligne, lascive, eretiche e paranoidi. Allora c’è la possibilità di cogliere le impercettibili differenze tra i loro percorsi ipnotizzanti e di superare lo scoglio dell’impatto monolitico, soffocante e tedioso.
In effetti, l’abilità di questa band è proprio quella di non sfiancare troppo l’ascoltatore, a patto che sia abituato a tali eccessi sonori. La lentezza funeral-doom, il gelo narcotico del drone, la viscida attitudine sludge, contribuiscono a creare una miscela torbida ed orrorifica, sottolineata talvolta da tastiere gotiche, a suo modo attraente.
Resta comunque un prodotto difficilmente apprezzabile, al di fuori di una minuscola e particolare frangia di doomsters.
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